Livio Marcaletti (Berna)
“Manieren” e ornamentazione essenziale nei trattati di canto dall’abbé Vogler a Fétis 

Già nel 1865 Baldassarre Gamucci, direttore dell’Istituto Musicale di Firenze, lamentava il fatto che «i cantanti sono ridotti ad eseguire alla pari degli strumenti, presso a poco, la loro parte quale è scritta», e perciò sarebbe «decaduto il gusto del canto fiorito», pur presupponendo che i compositori «intendevano solamente di tessere uno scheletro che spettava dipoi al cantante ad incarnare col rifiorirlo in modo conveniente». Per «canto fiorito» intendeva semplicemente una variazione nella ripetizione quale potrebbe essere effettuata in un’aria col da capo o nella ripresa di una cabaletta? Sembrerebbe piuttosto che Gamucci concepisca il «rifiorire» come elemento immanente all’esecuzione fin dalla prima esposizione di una melodia. I più importanti trattati tedeschi del secondo Settecento (Johann J. Quantz 1752, Georg J. Vogler 1776-8, Johann A. Hiller 1780) distinguono chiaramente, a proposito della musica vocale, tra wesentliche Manieren, piccoli ornamenti che constano di due, tre, quattro note (appoggiature che precedono o seguono la nota, gruppetti, anticipazioni della nota, trilli, mordenti, portamenti) e che abbelliscono il canto fin dal principio, e modificazioni arbitrarie (willkürliche Veränderungen), consistenti in passi di coloratura più complessi destinati al da capo. Anche il romano Domenico Corri pubblica a partire dagli anni Settanta del Settecento una raccolta di arie e duetti in quattro volumi (A Select Collection of the Most Admired Songs, Duetts, &c, 1779-95), in cui egli manifesta l’intenzione di fissare in forma scritta performances analoghe a quelle dei grandi cantanti del tempo: a questo scopo aggiunge in piccolo le Manieren che il testo musicale originale non conteneva e che, pur non trattandosi di una trascrizione di effettive esecuzioni, ne costituiscono un verosimile ‘surrogato’. La Collection rappresenta inoltre un importante esempio di differenziazione tra un primo livello di intervento esecutivo, diretto a una resa legata del canto e all’accentuazione delle sillabe metricamente rilevanti, e un secondo livello, preposto allo sfoggio di abilità tecnica e di fantasia nell’ornamentazione. Nel XIX secolo risulta invece più difficile trovare analoghe testimonianze; il fatto che diversi autori di trattati ottocenteschi (tra cui Peter von Winter 1820 ca., Alexis de Garaudé 1826, Antonio Calegari  1836, François-Joseph Fétis 1839, Manuel García II 1847) insegnino ancora a variare un breve spunto melodico potrebbe essere d’altro canto espressione della sopravvivenza di più antiche tradizioni esecutive, affondanti le loro radici nei due secoli precedenti. Nel presente contributo verranno proposti, per cercare di corroborare quest’ultima ipotesi, primi risultati di un progetto di ricerca in corso, avviato due anni fa all’università di Berna: con esso si intende indagare elementi di continuità nell’applicazione delle summenzionate Manieren in un arco temporale di tre secoli (da inizio Seicento agli albori del XX secolo).