Ventesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Bologna, 18-20 novembre 2016

 

Abstracts

Marco Targa (Teramo)
Respighi e il teatro: il caso della “Campana sommersa” 

Nei primi mesi del 2016 la scena operistica italiana è stata caratterizzata dalla proposta di due titoli operistici di autori appartenenti alla cosiddetta “Generazione dell’Ottanta”, ai quali è stato tributato un certo successo di pubblico. Si tratta della Donna serpente di Alfredo Casella, data a Torino (ma già allestito l’anno precedente a Martina Franca) e della Campana sommersa di Ottorino Respighi, data a Cagliari.

Questa contingenza rappresenta un invito a tornare a indagare la produzione operistica di un periodo, quello post-verista, che non ha mai suscitato un grande interesse in sede di critica e di analisi musicologica, anche in conseguenza del fatto che il suo inquadramento risulta per molti versi problematico. Esempio interessante di questa problematicità è il caso di Respighi, un compositore che si è dedicato al teatro con una certa frequenza e la cui produzione non sembra però inserirsi né in quel filone antiverista e antirealista tracciato da Busoni e al quale aderirono Casella e Malipiero, né al filone dannunziano sposato da autori come Pizzetti, Mascagni e Zandonai, ma neppure al filone neoclassico che invece caratterizza una parte consistente della produzione strumentale del compositore. In questo senso è emblematico il caso della Campana sommersa (1927, Stadttheater di Amburgo), un’opera basata sull’omonimo dramma di Gerhart Hauptmann (1896), il quale presenta una singolare miscela di elementi appartenenti all’immaginario del mondo fantastico romantico, popolato da elfi, fauni, streghe e creature dei boschi, insieme con tracce del teatro naturalista, cui il drammaturgo aveva consacrato la sua precedente produzione, e infine l’adesione a un simbolismo che si apre inaspettatamente alla dimensione onirica.

All’interno di questa commistione di elementi, inedita per il teatro d’opera, la musica di Respighi risulta da un lato debitrice delle libertà formali tipiche del dramma musicale wagneriano, ma dall’altro lato ne abbandona completamente alcuni principi fondamentali, come, ad esempio, la costruzione per Leitmotive, scarsamente utilizzata. Importante risulta invece l’esperienza maturata nell’ambito del balletto, le cui tracce sono percepibili nella capacità di dare al discorso musicale quella mobilità necessaria a renderlo fedelmente aderente alla gestualità dei personaggi.

Anche la vocalità impiegata da Respighi risulta degna di un’indagine che ne approfondisca i suoi caratteri. Accanto all’adozione di quella tipica modalità di canto sillabato modellato sul ritmo della parola che accomuna i compositori della sua generazione, Respighi non appare infatti per nulla disinteressato ad uno stile di canto più virtuosistico, dalla tessitura impervia, come si trova, ad esempio, nella parte della protagonista Rautendelein, quale marchio della sua appartenenza al mondo fantastico.

La relazione proposta intende inquadrare questi diversi elementi distintivi della drammaturgia musicale di quest’opera e valutare come essa si ponga all’interno della produzione operistica coeva.