Di cosa parliamo quando parliamo di IA? Parliamo di framework (architetture di processi informatici), la cui programmazione si basa su procedimenti algoritmici. Quindi, non macchine (hardware), ma applicativi (software). Se pensiamo in termini di macchine accenneremo a robotica, androidi, et similia. In cosa sono diversi questi software da quelli che abbiamo utilizzato per decenni? Tali framework sono in grado di apprendere autonomamente e di fare previsioni accurate relativamente ai compiti per i quali sono stati progettati. Per poter ottenere tali risultai sono necessari enormi database. Le procedure di analisi di tali database sono definite dagli obiettivi previsti dalla progettazione. Quale risultato dell’apprendimento e della capacità di fare previsioni, i software dotati di IA possono offrire all’utente suggerimenti, indicare raccomandazioni, oppure prendere decisioni e compiere autonomamente delle scelte. Il primo caso è molto comune. Oggi la maggior parte dei software, anche quelli di uso più corrente, affiancano l’utente con suggerimenti di varia natura, facilitandolo nello svolgimento dei propri compiti. Il secondo caso può essere variamente declinato: ad esempio, negli applicativi per il mastering musicale di solito viene suggerita una sola possibilità, che sarà poi nella libertà dell’utente utilizzare così come gli è stata proposta, oppure rifiutarla o modificarla, esattamente come accade coi chatbot. In altri casi, le scelte sono del tutto automatizzate (ad esempio, nel pilotaggio di veicoli e velivoli). L’intervento umano è sempre possibile, sebbene l’automatizzazione delle procedure provochi negli utenti significativi fenomeni di trasferimento fiduciario, anche in quei casi in cui il controllo umano dovrebbe essere sempre vigile. Questi software possono essere validi strumenti ausiliari nella ricerca, nello studio e più in generale nella formazione? Certamente sì, così come lo sono tutti quegli strumenti tecnologici che utilizziamo per studiare, far ricerca o formare gli studenti. Analogamente, sono validi supporti per le arti in tutte le fasi della produzione artistica, l’artista essendo sempre nella condizione di accettare o rifiutare ciò che gli viene suggerito o le scelte che vengono compiute. Tali software sono intelligenti? Sì, lo sono, se per intelligenza intendiamo la capacità di risolvere problemi e/o di svolgere compiti. Si tratta di un’intelligenza strutturalmente non umana. È il lessico che ci trae in inganno. Quando parliamo di reti neurali non dobbiamo immaginare macchine dotate di neuroni organici, bensì complesse strutture algoritmiche che operano secondo procedure logiche, anche nel caso in cui il risultato sia l’esito di una previsione probabilistica. La costruzione di un lessico ingannevole è parte integrante del marketing utilizzato per vendere e diffondere tale tecnologia. Queste reti non “pensano”. Leibnizianamente: calcolano. Il fatto che non siamo in grado di comprendere a fondo come operano, molta dell’informazione trattata restando peraltro latente, non è una novità. Non siamo mai stati in grado di leggere il linguaggio macchina, anche quello dei più semplici tra gli applicativi. Hanno capacità sovrumane? Ovviamente, sì. Come sovrumane sono tutte le macchine costruite dall’uomo. Nessuno può correre veloce come un’automobile, volare come un’astronave, o cantare come un pianoforte. Questo tipo di tecnologia sostituirà l’uomo nelle sue attività? Lo fa già quotidianamente ovunque sia possibile introdurre procedure automatizzate. La domanda dovrebbe essere posta in altro modo: quanto i produttori di tecnologie IA sono disposti a fare per il successo dei loro prodotti? Sono disposti a condizionare l’utente, modificandone le abitudini, la sua stessa vita, per favorire il successo commerciale di tali prodotti? Sì. L’addestramento dell’utente è parte integrante dello sviluppo e del successo dell’Intelligenza Artificiale.

Fabrizio Festa
Compositore e ricercatore nell’àmbito della informatica musicale
Docente di Teoria dell’armonia e analisi

Conservatorio di Musica di Matera

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