Ventiduesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Bologna, 23-25 novembre 2018

 

Abstracts

Alceste Innocenzi (Bari)
«Lontano dalle dispute, visse di sola musica»: un manoscritto di Giovanni Sgambati

In tenera età Giovanni Sgambati aveva cantato da contralto in chiesa e si era fatto conoscere anche come autore di musica sacra. Sua madre, essendo rimasta vedova, andò a stabilirsi a Trevi, in Umbria, dove egli si dedicò, oltre allo studio del piano, a quello dell’armonia con Tiberio Natalucci, che era stato allievo di Zingarelli al Conservatorio di Napoli.

Il trasferimento in Umbria, «lontano dalle dispute politiche, letterarie e culturali in genere, lo fece vivere di sola musica».

Giovanni Sgambati, come si evince dall’attenta analisi e ricognizione del carteggio conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma, oltre che un’icona nel panorama musicale del concertismo e della didattica italiana, fu un organizzatore instancabile della vita musicale nella seconda metà dell’Ottocento e fu un musicista al quale tanti sentirono di potersi avvicinare. Le attestazioni di stima e gratitudine costellano i documenti del fondo Sgambati, lasciando così emergere l’intensa opera protettrice e promotrice nei confronti dei musicisti particolarmente valenti.

Il manoscritto dell’offertorio per tenore e organo Assumpta est presenta, oltre alla firma dell’autore, la seguente dedica: «composta per il bravo e caro amico Policarpo Cardelli. Spoleto 20 agosto 1886». La firma e la grafia di Sgambati, come confermato anche dalla direttrice Rita Fioravanti, appaiono compatibili con altre partiture manoscritte conservate nel fondo Sgambati della Biblioteca Casanatense. Il brano era stato composto verosimilmente in occasione delle celebrazioni per l’Assunta, a cui la basilica spoletina è dedicata.

Policarpo Cardelli, nativo di Terni, aveva ricoperto il ruolo di tenore nella Cappella del Duomo di Spoleto a partire dal 1850 – Sgambati aveva soggiornato stabilmente a Trevi fino al 1860 ed è in questo periodo che i due potrebbero aver fatto conoscenza. Contemporaneamente, abbiamo notizia della sua presenza come cantante nelle stagioni teatrali d’opera e della sua attività presso la banda di Matelica in qualità di direttore. Dal 1885 al 1898 risulta stipendiato dall’Opera del Duomo con il ruolo di sopranista, con un compenso di lire 46,75 mensili. Tale onorario, se raffrontato con quello dell’altro cantore stabile e con quello del maestro di cappella, ci fa capire come fosse il musicista maggiormente tenuto in considerazione all’interno della diocesi spoletina.
Anche se Sgambati viene spesso catalogato come un “pioniere della rinascita strumentale italiana”, aveva già dato numerose prove di essere un ottimo compositore vocale. A Roma aveva studiato con Giovanni Aldega, un conservatore in musica, nelle cui composizioni sacre si nota l’applicazione alla musica ecclesiastica dei virtuosismi canori propri dello stile del melodramma. Sgambati aveva attinto da lui le basi della tecnica compositiva, ma successivamente, da Liszt, l’atteggiamento attivo nella società in rapido cambiamento che lo circondava e, quindi, una maggiore attenzione alle più aggiornate tendenze musicali e uno sforzo per adeguarne la produzione artistica.
L’esame della composizione conferma che siamo di fronte a un brano diverso rispetto allo stile semplice e quasi ingenuo dei primi lavori sacri. Oltre la soluzione del tradizionalismo nazionale, al di là dell’influenza lisztiana che si palesa in colori armonici organizzati secondo una logica non tonale, l’analisi di questa partitura mostra uno Sgambati che sembra perseguire una terza via: la soluzione della linea melodica accompagnata dall’organo, o in armonia o con semplici imitazioni all’interno di un discorso prevalentemente tonale. Questi tre indirizzi si fondono in maniera complementare, conducendo a un esito stilistico originale.