Giuseppina La Face Bianconi

Vent’anni sono parecchi nella vita di un uomo: a maggior ragione per una rivista e per un’associazione culturale. Come già nel decennale del «Saggiatore musicale» (annata XI, 2004, pp. 3-19), chiediamo al nostro lettore un po’ di attenzione, per proporgli alcune riflessioni e un bilancio sommario. Inizierò dalla rivista, ma farò riferimento anche all’associazione, giacché esse vivono in simbiosi: non si darebbe l’una senza l’altra; ed entrambe ricavano costante alimento dallo scambio col Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna che le ospita (l’ex-Dipartimento di Musica e Spettacolo).
La rivista «Il Saggiatore musicale» è oggi, ancor più di dieci anni fa, un riferimento indiscusso per la musicologia italiana ed internazionale. Posizionata al top in tutte le classifiche dei periodici scientifici, in questi anni ha mantenuto una linea invariata: temi musicologici tradizionali, interventi di politica culturale, recensioni approfondite, snelle schede critiche. Su ciascun contributo si effettua – fin dalle origini, fin da prima cioè che quest’uso attecchisse in Italia – un referaggio assai severo; i testi accolti per la pubblicazione vengono poi assoggettati a una messa a punto redazionale acribica, coordinata da Elisabetta Pasquini. A stretto contatto il lettore trova articoli di musicologi affermati e di giovani studiosi: gli uni e gli altri hanno avuto l’umiltà di accettare pareri critici che talvolta esigono la parziale riscrittura del lavoro. Siamo grati agli autori e ai revisori.
Certo, non è facile reperire saggi di qualità: oggi più di ieri. Il publish or perish, penetrato in maniera proibitiva anche da noi, non invoglia i giovani studiosi a concentrarsi su ricerche di lunga lena e a condurre scandagli onerosi: incita semmai a velocizzare la pubblicazione dei propri lavori, frammentandoli in tanti piccoli pezzi. D’altro canto, le tante Festschriften drenano contributi di valore verso collettanee magari auguste e copiose, ma destinate a una circolazione più circoscritta di quella delle migliori riviste: con un evidente freno alla propagazione del sapere. E ancora, proliferano le enciclopedie settoriali – dizionari verdiani, wagneriani, mozartiani, haydniani; Handbücher su singoli musicisti, generi, repertorii; companions tematici – che, se per un verso si sforzano di arginare o contenere la pulviscolarizzazione del sapere, per l’altro la alimentano, e così facendo sottraggono altre energie all’avanzamento della conoscenza.
Come ci siamo prefissi, fin dal 1994 abbiamo coltivato lo scambio intellettuale con studiosi di tanti Paesi stranieri: in ogni fascicolo è sempre presente, in una delle cinque lingue del «Saggiatore musicale» – francese inglese italiano spagnolo tedesco – almeno un articolo, un intervento, una recensione di colleghi non italiani. Qualche volta li abbiamo tradotti: è il caso del saggio della studiosa russa Marina Raku (XVI, 2009, pp. 35-73). Crediamo che il rapporto con la musicologia russa, che comporta il superamento di una barriera linguistica più ardua, vada incrementato, perché può svelare punti di vista per noi inconsueti: e lo si dovrà intensificare anche attraverso seminari e incontri. Abbiamo anche spinto studiosi insigni di Paesi diversi a dialogare fra loro, discutendo le loro pubblicazioni. Ricordo solo qualche esempio: l’intervento-recensione di Luigi Ferdinando Tagliavini sulla monografia di Philip Gossett Divas and Scholars (XVII, 2010, pp. 53-81); la recensione di Levon Akopjan alla raccolta On Russian Music di Richard Taruskin (XVIII, 2011, pp. 310-318); l’intervento di Paolo Gozza sull’Enciclopedia della musica Einaudi (XIV, 2007, pp. 133-151; con repliche in XV, 2008, pp. 295-311); e quello di Claudio Annibaldi su Frescobaldi (XIX, 2012, pp. 237-264), cui risponde Étienne Darbellay (XX, 2013, pp. 125-128). Per quanto concerne le recensioni, sono in debito di un ringraziamento a chi ha curato il settore: Fabrizio Della Seta fino al 2005, Andrea Chegai fino al 2010, indi Cesare Fertonani.
Le tematiche degli articoli e degli interventi sono ad ampio spettro. Ci eravamo proposti di coltivare – accanto ai temi correnti nel canone della storia della musica – due àmbiti importanti e delicati: il Novecento, il medioevo. L’operazione è riuscita per il primo, con vari saggi di rango. Il medioevo è rimasto un tantino più in ombra: ricordo però l’importante tavola rotonda, Il futuro della musica medievale (XIII, 2006, pp. 349-379), e prevediamo di pubblicare qualche frutto della tavola rotonda del XVII Colloquio di Musicologia (22-24 novembre 2013) su Scritture musicali del medioevo e del rinascimento. Nei prossimi anni occorrerà ancora insistere perché la medievistica riacquisti il rilievo che le spetta, per evitare che il ramo, vitale per la disciplina, deperisca. Lo stesso dicasi per l’Etnomusicologia: la quale, è vero, ha sedi editoriali proprie. Ma è opportuno che lavori di Etnomusicologia trovino spazio anche in riviste non specialistiche: la visione degli etnomusicologi è infatti una pietra di paragone per gli storici della musica, dai quali, per converso, gli etnomusicologi traggono più d’uno stimolo. Puntiamo in questa direzione: dopo l’intervento di Ramón Pelinski, Etnomusicología, nada más y nada menos (XII, 2005, pp. 441-450), uno dei prossimi fascicoli accoglierà un intervento di Adelaida Reyes su Identity Construction in the Context of Forced Migration. È programmato anche un intervento in cui Giovanni Giuriati traccerà una mappa delle correnti dell’Etnomusicologia negli anni 2000, i mutamenti che hanno investito contenuti e metodi, i rapporti con i contesti istituzionali.
Nel festeggiare il decennale avevamo espresso un’aspirazione: rafforzare la curvatura pedagogico-didattica della rivista, affrontando le problematiche inerenti alla trasmissione del sapere musicale. Se da un lato occorre infatti costruire passo dopo passo il sapere musicologico, ossia il “sapere sapiente”, dall’altro questo deve a sua volta filtrare e impregnare di sé una didattica disciplinare razionale, per poter divenire “sapere didattico” efficace, e per porre rimedio al divorzio della pedagogia musicale dalla musicologia: un divorzio che ha arrecato grave detrimento a entrambe. Quest’obiettivo è stato raggiunto, con l’impegno, determinante, dell’Associazione. Rammento alcune tappe. Nel 2005 abbiamo dedicato un intero fascicolo della rivista a percorsi didattici, sollecitando i musicologi ad affrontare questo campo, da loro raramente battuto (XII, pp. 3-218, con articoli di Casadei Fabbri Bianconi Cecchi Melis e Staiti, oltre a me e al pedagogista Frabboni). Negli anni successivi sono comparsi singoli contributi: citerò il brillante intervento di Gossett su come “insegnare il melodramma all’Università” (XV, 2008, pp. 81-96); l’intervento sulla didattica della Storia della musica (ibid., pp. 269-279, Chegai e Russo); un altro ancora, assai critico, su certi tenaci quanto opinabili assunti della pedagogia musicale francese (ibid., pp. 281-293, Cano e Finocchiaro).
Il 2005 ha segnato anche un’altra tappa, col convegno Educazione musicale e Formazione (Milano, Franco Angeli, 2008). L’intento, ambizioso, è stato triplice: (1) condurre i musicologi a dialogare con gli studiosi di Scienze dell’educazione; (2) far sì che costoro – pedagogisti, studiosi di didattica, psicologi, antropologi – cogliessero le problematiche assai specifiche del sapere musicale; (3) spingere i musicologi e gli studiosi di Scienze dell’educazione insieme a dialogare coi docenti delle scuole. Prima di allora i musicologi italiani non si erano spesso misurati con riflessioni di orientamento pedagogico-didattico sugli argomenti che essi pur trattano empiricamente nel loro quotidiano lavoro d’insegnanti: la selezione dei contenuti, la loro struttura epistemologica e culturale, le modalità della loro trasmissione. A questo convegno ha fatto seguito, nel 2008, l’altro su La musica tra conoscere e fare (Milano, Franco Angeli, 2011), che ha messo a fuoco il necessario legame fra l’esercizio della musica e la sua comprensione intellettuale, le connessioni profonde fra pedagogia musicale e ricerca musicologica.
Nel 2007 l’Associazione ha costituito un gruppo dedito espressamente all’Educazione musicale: il «SagGEM». Vi aderiscono musicologi, docenti delle scuole, dei conservatorii, dell’università, studiosi di scienze dell’educazione, dirigenti scolastici. I punti cardinali su cui si orienta il «SagGEM» sono: (1) la valorizzazione della musica d’arte (senza che ciò comporti alcun pregiudizio nei confronti di altri generi e tradizioni musicali); (2) la necessaria sinergia tra università, conservatorii e scuole per l’armonioso sviluppo dell’Educazione musicale; (3) il raccordo tra l’Educazione musicale e le altre discipline scolastiche; (4) il riferimento all’Etnomusicologia per la prospettiva interculturale. Attraverso il «SagGEM», l’Associazione ha sviluppato un’intensa attività politico-culturale: ha stipulato protocolli d’intesa con diversi Uffici scolastici, promuovendo in varie regioni corsi di ricerca-formazione per gli insegnanti in servizio. Si è così azionata una cinghia di trasmissione che pone i docenti delle scuole a diretto contatto con i contenuti musicologici elaborati in ambiente accademico; i docenti operano poi in àmbito scolastico trasformando i contenuti scientifici in sapere didattico. Uno dei risultati di questa operazione è, dal 2008, la rassegna annuale denominata “I Classici in classe”, alla quale concorrono numerose scuole di Bologna e provincia: gli studenti, dalla scuola primaria alla secondaria di II grado, assieme al loro docente di Musica, affrontano la comprensione di un brano mediante un processo di scomposizione e ricomposizione del materiale; ne colgono i riferimenti storici e contestuali; e, prima di eseguirlo, lo illustrano a un folto pubblico di ascoltatori. Il successo è enorme, il beneficio culturale ed educativo copioso. Bello sarebbe se la manifestazione si diffondesse su scala nazionale, beninteso non senza l’indispensabile monitoraggio di esperti versati sia in musicologia sia in didattica della musica.
L’incremento dei saggi di taglio pedagogico-didattico ha suggerito un passo ulteriore. «Il Saggiatore musicale» – un semestrale erudito che circola tra gli specialisti – non era in grado di convogliare i numerosi contributi che in questo campo gli venivano sottoposti: la natura stessa della rivista avrebbe subìto una mutazione sostanziale. Pertanto nel 2011 l’Associazione, d’intesa col Dipartimento di Musica e Spettacolo (l’attuale Dipartimento delle Arti), ha varato una rivista on-line annuale peer reviewed, «Musica Docta», dedicata programmaticamente ai temi della trasmissione del sapere musicale. Vi confluiscono articoli, recensioni, interventi e percorsi didattici, sempre in cinque lingue; il comitato scientifico è composto da studiosi italiani e stranieri. Continueremo a pubblicare di tanto in tanto articoli d’impostazione pedagogico-didattica sul «Saggiatore musicale», ma a «Musica Docta» è affidato il compito primario d’incidere in quest’àmbito. Il terzo numero della rivista, uscito a dicembre 2013, comprende tra l’altro le relazioni svolte nella Study Session su “Transmission of Music Knowledge: Constructing a European Citizenship” tenuta nel XIX congresso della International Musicological Society (Roma, 1-7 luglio 2012). In seguito a questa tavola rotonda – sia detto en passant – la IMS ha costituito uno Study Group internazionale di musicologi che si occupano di pedagogia e didattica musicale (“Transmission of Knowledge as a Primary Aim in Music Education”).
«Musica Docta» raccoglie poi il succo di un’altra iniziativa promossa dal «SagGEM» in questo campo, ossia le «Gocce». Si tratta di una rubrica ‘politica’ on-line, dedicata anch’essa alla trasmissione del sapere: in primis, ma non solo, il sapere musicale. Ciascuna «Goccia» in 3000 battute tocca un singolo problema, o un suo aspetto parziale: a distillarle sono invitati musicologi, studiosi di varie discipline, operatori culturali, giovani ricercatori, docenti. Per dirla con Ovidio, guttae cavant lapidem.
Prima di chiudere vorrei citare un’altra opera importante per quanto riguarda la trasmissione del sapere: non è un frutto diretto del «Saggiatore musicale», ma è maturata anche grazie al dissodamento del terreno e alla buona semina che esso ha effettuato in questi anni. Alludo al manuale di storia della musica per i Licei musicali e per le lauree triennali concepito dal musicologo Paolo Fabbri e da lui stesso realizzato col concorso di altri valorosi colleghi, che hanno accettato la sfida: nei primi due volumi essi sono Cesarino Ruini, Donatella Restani, Paolo Russo e Alessandro Roccatagliati; il terzo e ultimo volume è in arrivo (Musica e società, Milano, McGraw-Hill Education, 2012-14). Fabbri, un nome che spicca negli studi sul Cinquecento e sul melodramma del Sei come dell’Ottocento, in questo decennio è stato, fra i musicologi italiani, tra i più fervidi ed alacri nel coltivare il versante didattico-musicale: ha partecipato a tavole rotonde, convegni, seminari, ha pubblicato saggi e interventi, e ora concretizza un’opera che segnerà uno snodo nell’insegnamento della storia della musica, il tronco portante della nostra disciplina.
Ho sintetizzato soltanto pochi punti: ma bastano a testimoniare che il presente del «Saggiatore musicale» è ricco ed espansivo. Esso si fonda sul lavoro convergente di tanti colleghi portatori di specializzazioni diverse; e desidero ricordare qui con speciale gratitudine il contributo, generoso e costruttivo, dato dai tre consulenti stranieri che in questi dieci anni ci hanno lasciati: Harold Powers (1928-2007), Michel Huglo (1921-2012), e Gilles de Van (1938-2013), che pochi giorni prima di morire ha ancora corretto le bozze dell’ultima sua scheda critica (XX, 2013, p. 144 sg.). Né voglio dimenticare l’impegno, appassionato e determinante, che in tutti questi anni il nostro editore, e con lui i tipografi di cui si vale, hanno dato nell’assicurare al «Saggiatore musicale» una veste editoriale impeccabile: un grazie di cuore in particolare a Daniele Olschki e al suo staff. Per il futuro si potrà prevedere qualche cambiamento nel sistema di gestione della rivista: del resto qualche modifica al nostro piano di lavoro l’abbiamo già apportata. Cito la più vistosa. Ho chiesto ad Andrea Chegai e Alessandro Roccatagliati di coadiuvarmi come vicedirettori della rivista: è giusto che i colleghi più giovani si assumano la responsabilità di scelte culturali impegnative come quelle che la direzione di una rivista quotidianamente impone. Anche l’Associazione dovrà modificarsi: deve puntare ad essere un vero e proprio centro promotore di ricerca e formazione. A tal fine occorre intensificare i rapporti internazionali, corroborare i riferimenti politico-istituzionali a livello locale e nazionale, rinvigorire il connubio con l’Alma Mater Studiorum, incentivare le relazioni con altri Atenei. Come sempre, ci vorrà buona volontà, spirito di collaborazione, scambio intellettuale fervido e critico fra giovani, meno giovani ed anziani. Andrà soprattutto coltivato il senso di appartenenza alla nostra disciplina, il nostro mandato culturale: al di là delle visioni differenti, degli interessi svariati, gli obiettivi di spicco si raggiungono soltanto se ci si sente profondamente partecipi di una comunità intellettuale forte, coesa, impegnata.
(g.l.f.b.).Testo letto il 22 novembre 2013 in apertura del XVII Colloquio di Musicologia del «Saggiatore musicale» (Bologna, Laboratori delle Arti) e pubblicato nell’annata XX, 2013, pp. 3-8.