AL LETTORE

Questa volta, nell’aprire l’annata, proponiamo due citazioni: eterogenee, ma entrambe importanti per il lavoro del “Saggiatore musicale”.

La prima è tratta dal documento finale della Commissione tecnico-scientifica incaricata nel gennaio scorso dal Ministro della Pubblica Istruzione di individuare “le conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni”:

“Occorre dare legittimità scolastica alle forme di sapere che sono proprie degli spazi acustici, investendo in primo luogo sull’ascolto, inteso come espressione di un modo diretto e partecipato di stare in rapporto con le cose. La musica parla al mondo e parla dei mondo, e si fa intendere anche da chi non dispone di una specifica alfabetizzazione musicale: la logica, il movimento, la retorica sono continuamente ed efficacemente azionate dai suoni e dalle voci. Non si tratta di fare della scuola un luogo di informazione sulla musica. Si tratta invece di farne una sede di esperienza acustica e musicale. Praticare e realizzare musica, prima e dopo – ma non necessariamente con – il supporto tecnico della notazione, significa riconoscere, gustare ed inventare strutture di suoni e di silenzi, e ciò lo si può fare anche attraverso forme di riflessione che nascano dall’agire e quindi dall’intelligenza del corpo. In questa prospettiva, la composizione musicale andrà integrata con l’improvvisazione, che è un modo per “andare al di là di ciò che si sa”, per dare parola, attraverso il gesto sonoro, al non detto delle emozioni. I riferimenti storici e ambientali alle diverse espressioni musicali acquisteranno senso e diventeranno patrimonio dei giovani solo se ad essi non verrà mai negata questa possibilità di intendere le arti sonore come “luogo del saper essere e del saper fare”.

È un bene che i “saggi” della commissione abbiano incluso la musica nelle nove “aree di sapere della nuova scuola” (“il controllo della parola, la conoscenza del mondo naturale, il fare storia, le scienze sociali, la tradizione classica, il Novecento, la filosofia, l’inglese veicolare, le arti sonore e visive e tutto ciò che le integra, come il teatro e il cinema”). Ed è giusto l’appello ad “investire in primo luogo sull’ascolto”: nella società contemporanea la musica è soprattutto un’arte da ascoltare, e in sé l’addestramento all’ascolto attiva funzioni intellettuali e psichiche preziosissime per l’educazione individuale e sociale.

Ma per il resto, la prosa dei commissari ricama sul solito equivoco: che la musica sia prassi artigianale, e che solo chi la realizza possa coglierne il senso e farsene un tesoro. Sarebbe come voler sostituire la lettura e l’analisi dei classici con la produzione in proprio di endecasillabi ed esametri. È vero che in musica, come in poesia o in pittura, il possesso dei rudimenti tecnici agevola la comprensione: ma da solo non darà mai l’accesso alla ricchezza di significati del patrimonio storicamente dato. Anzi, se i rudimenti di alfabetizzazione musicale propinati agli studenti non saranno apertamente finalizzati alla c o m p r e n s i o n e della musica d’arte come di qualsivoglia altra musica, tenderanno fatalmente a convertirsi in un illusorio fai-da-te, in una gabbia dove beatamente abbandonarsi all’imitazione casereccia della rockstar del momento.

Va detto che in fatto di musica il documento, redatto dal coordinatore Roberto Maragliano, è più temperato, aperto e ragionevole degli interventi verbalizzati in Commissione. Tullio De Mauro, ad esempio, non s’è peritato di sentenziare: “Guai se il cinema entra nella scuola come manuale di storia del cinema: se entra, deve entrare come pratica operativa; lo stesso ragionamento vale per la musica”. L’insigne linguista avvalora il pregiudizio suddetto, che la musica, come le altre arti non verbali, sia basata più sul fare che sull’intendere. Ma per ascoltare o guardare con consapevolezza una musica o un film, per cogliere ciò che ci dicono del mondo, non importa che la scuola forgi un popolo di mandolinisti e di cinematografari della domenica, bensì che educhi all’analisi dei linguaggi, alla conoscenza delle forme, alla comprensione dei contenuti.

Così stando le cose, converrà che musicisti e musicologi, d’intesa con pedagogisti e didatti, intensifichino quella riflessione sull’insegnamento della musica nella scuola italiana, e soprattutto nella secondaria superiore, che “Il Saggiatore musicale” ha avviato fin dalla nascita (I, 1994, pp. 377-391; III, 1996, pp. 161-164 e 480-483), e che gli ha fruttato il I premio 1996 della Regione Emilia Romagna per le iniziative culturali.

La seconda citazione è tratta dai taccuini di Georg Christoph Lichtenberg (1789) e scherza sul genere letterario della recensione, evidenziandone la natura intrinsecamente morbosa:

“Ich sehe die Rezensionen als eine Art von Kinderkrankheiten an, die die neugebornen Bücher mehr oder weniger befällt.Man hat Exempel, daß die gesündesten daran sterben, und die schwächlichen oft durchkommen. Manche bekom- men sie gar nicht. Man hat häufig versucht, ihnen durch Amulette von Vorrede und Dedikation vorzubeugen oder sie gar durch eigene Urteile zu inokulieren, es hilft aber nicht immer”.

La nostra rivista non concepisce le recensioni come eulogie pubblicitarie. Così, può succedere che nella disamina del libro il recensore palesi un certo dissenso, e che a sua volta l’autore recensito dissenta dal recensore. Siamo convinti che il contraddittorio sia sempre utile, ma certo non possiamo permetterci il lusso di pubblicare la recensione della recensione. Perciò, agli autori che ci hanno inviato lunghe repliche, abbiamo chiesto (e chiederemo) di limitarsi a contestazioni stringate e alla rettifica di eventuali errori. Del che li ringraziamo. (g.l.f.b.)