AL LETTORE

Ancora una volta torniamo sulla questione dell’educazione musicale. Il primo intervento in questo numero presenta U proposta formulata da un gruppo di lavoro che la nostra Associazione ha formato dopo il convegno di Palermo del novembre 1997 (cfr. “Il Saggiatore musicale”, IV, pp. 488- 490).La proposta è rivolta all’opinione pubblica, a chi insegna nella scuola, nei conservatorio e nell’università, agli esperti di didattica, al Parlamento e al Governo. Un osservatore straniero potrebbe stupirsi dell’insistenza con cui la musicologia italiana batte su questo tasto. Sarà anche vero che il livello culturale medio della formazione scolastica italiana è, a conti fatti, tutt’altro che spregevole rispetto alla media occidentale: ma resta un buco nero, l’assenza di qualsiasi educazione alla musica nel curricolo scolastico in età liceale. Il giovane cittadino italiano giunge alla maturità sprovvisto di cultura musicale, se non se la procura da sé. C’è anzi il fondato timore che le riforme in atto introducano non già un’educazione all’ascolto consapevole e critico, ma forme rudimentali di pratica musicale a fini di socializzazione spicciola più che di formazione culturale.

Per “Il Saggiatore musicale”, l’impegno sul fronte dell’educazione musicale dei cittadini rappresenta una delle responsabilità primarie dei musicologi. È questa la faccia più squisitamente democratica di un problema più vasto, che investe la responsabilità intellettuale complessiva della disciplina. Sotto la spinta di tanti fattori economici, sociali, tecnologici, il ruolo del musicologo – in tutte le sue varianti – sta mutando: gli investimenti pubblici e privati chiedono di venir giustificati, la loro destinazione non è più scontata; il ventaglio degli interessi scientifici si è di molto ampliato e differenziato; il bombardamento delle informazioni produce dispersione e saturazione; la selezione degli argomenti guida non risponde più soltanto alla logica intrinseca dello sviluppo scientifico, bensì anche a criteri d’immagine e di risonanza pubblica; una quota sempre più notevole di energie viene investita nell’organizzazione e gestione della ricerca. Il musicologo alla fine del millennio non è più un erudito che lavora in un isolamento ben riparato: è – gli piaccia o no – un operatore culturale e politico. E questo fatto gli impone delle scelte: scelte quanto ai temi e ai metodi, scelte quanto alla politica della ricerca (ne ha data una illustrazione eloquente Iain Fenlon nell’ultimo fascicolo del “Saggiatore musicale”). In questo numero interviene Georg Knepler – un testimone della musicologia di tutto un secolo – per ripensare i presupposti stessi della teoria musicale, ossia di un ramo portante della disciplina: ne discute gli indirizzi consuetudinari, le opzioni mancate, gli sforzi progressivi. Altre riflessioni sulla responsabilità intellettuale del musicologo faremo seguire nelle prossime annate.

Il terzo intervento è di tutt’altra indole. Warren Kirkendale risponde per le rime a Claudio Annibale, che aveva aspramente messo in discussione il suo libro sui musicisti medicei e il metodo che lo sottende. “Il Saggiatore musicale” condivide appieno l’orientamento critico di Annibaldi. Ma è giusto che Kírkendale difenda il proprio punto di vista su queste stesse pagine. Invero lo fa con una certa qual veemenza. A noi non dispiace, giacché reputiamo che la polemica – magari anche acre – sia una funzione essenziale del dibattito intellettuale. Proprio per questo la nostra rivista ha preso a prestito il titolo dal trattato galileiano sulle comete, ossia “dalla più bell’opera polemica che abbia avuto l’Italia” (parole dell’Algarotti). Ma Kirkendale, lui così battagliero, esordisce disprezzando proprio questa ambizione della nostra rivista, e dunque, indirettamente, il Galilei e l’Algarotti. Liberissimo. Ironizza anche sull’asserto che abbiamo attinto dall’anatomista seicentesco Lorenzo Bellini: “il gusto del mio studiare è l’intendere, non il trovare”. Ma in tal modo equivoca le nostre parole (cfr. “11 Saggiatore musicale”, I, 1994, sestultima riga di p. 3): trovare serve, è anzi indispensabile, purché, una volta trovato, ci si sforzi d’intendere, ossia d’interrogare i ritrovati, ben sapendo che nessun interrogativo, per quanto premuroso dell’oggetto, potrà mai cancellare l’identità del soggetto interrogante. In realtà, Kirkendale se la prende un po’ con tutti: con la New Musicology, coll’editore Il Mulino, con l’antropologia musicale, col marxismo, con Adorno, con la Rezeptionsforschung, con le femministe con Dahlhaus. Troppa grazia, ma va bene anche così. Nel suo insieme, la discussione tra Annibaldi e Kirkendale conferma quel che s’è detto: scegliere bisogna. “Il Saggiatore musicale” lo fa. (g.l.f.b.)