Al lettore
“Il Saggiatore musicale” è una rivista di ricerca più che di divulgazione: ha per lettori soprattutto dei musicologi. Non per questo esso disdegna i contributi che, per il taglio interdisciplinare, si rivolgono all’uomo colto oltre che agli adepti della disciplina. La cultura è un tessuto complesso, e la sua robustezza deriva da un ordito di fili diversi e intrecciati, che si reggono a vicenda. C’è bisogno della ricerca di punta, che non sempre è alla portata d’ogni lettore; e c’è bisogno della divulgazione, che distribuisce i portati dell’indagine ad un pubblico più vasto, e viceversa convoglia verso gli addetti ai lavori un interesse diffuso tra gli amatori.
Ora, la musicologia italiana non versa certo in uno stato d’indigenza, anzi dimostra una bella vitalità e floridezza: e “Il Saggiatore musicale” fa la sua parte per alimentarla. Ma in essa si celano anche certi fattori di oggettiva debolezza, che magari promanano dalle condizioni di partenza e dal contesto generale, e però alla lunga attutiscono l’efficacia della ricerca. Spesso in queste pagine abbiamo deplorato il deficit di educazione musicale che affligge le scuole italiane: è un deficit che fa soffrire la vita musicale – si accentua la fragilità economica della musica d’arte, sul mercato dei concerti come del disco – e in generale la cultura dei cittadini. Una delle conseguenze è questa: abbiamo in Italia pochi lettori per i libri d’argomento musicale, e dunque pochi libri a loro destinati. Lo sanno bene i non molti coraggiosi editori che, negli anni ’80, hanno avviato collane di alta divulgazione e che, quando non hanno chiuso bottega addirittura, sono poi stati costretti a ridimensionare i propri programmi. (La sofferenza è paradossalmente minore per l’editoria a carattere scientifico, che spesso gode di sovvenzioni e si rivolge comunque non al solo striminzito mercato italiano, ma anche a quello estero.)
Il risultato è che, se oggi un appassionato italiano delle cantate di Bach o dei quartetti di Haydn o delle sinfonie di Mozart o delle sonate di Beethoven o dei Phantasiestücke di Schumann o dei balletti di Stravinskij vuole saperne di più su tali opere, se vuol essere guidato nel loro ascolto da un cicerone esperto ma non proibitivo, che lo conduca per mano senza scoraggianti tecnicismi, che gli fornisca in maniera ordinata e precisa le notizie necessarie e gli agganci utili, trova in certi casi monografie eccellenti, del tipo vita-e-opere, ma più spesso può solo leggiucchiarsi le note d’accompagnamento al disco (e i miopi sanno bene quanto il passaggio dall’LP al CD sia stato deleterio per gli occhi). Con qualche lodevole eccezione, mancano in Italia le monografie, i Companions, gli Handbücher che illustrino partitamente, e in termini tali da invogliare il dilettante, singole opere o interi generi del grande repertorio, come pure della musica cosiddetta ‘antica’ e della musica d’arte contemporanea. Su questo fronte, l’editoria tedesca e quella angloamericana detengono un primato che riflette appunto una diversa cultura. (Anche se non è tutt’oro: prendete certi volumetti dell’egregia serie dei “Cambridge Music Handbooks”, e vedrete che spesso si appellano ad un lettore sofisticato, scaltrito nell’analisi, disposto magari a inerpicarsi su impervi grafi schenkeriani; col che, molti utenti potenziali restano tagliati fuori.)
Crediamo che ai musicologi del 2000 incomba tra gli altri anche questo compito: coltivare, accanto alla ricerca, la buona ed umile divulgazione, intesa come servizio offerto alla fisiologia della cultura; assicurare che questa cinghia di trasmissione funzioni per bene, e sempre di più. (g.l.f.b.)