“Ferrovia soprelevata” di Buzzati e Chailly:
orizzonte storico, drammaturgia, fortuna critica

Ferrovia soprelevata (1955), esordio teatrale di Luciano Chailly e primo frutto della collaborazione con Dino Buzzati, rappresenta un problematico, suggestivo tentativo d’aggiornamento del genere operistico nel secondo dopoguerra italiano. Allestito al Teatro delle novità di Bergamo – fertile e duraturo ‘banco di prova’ per giovani operisti del Novecento italiano – dopo un rimaneggiamento imposto dalla censura, il lavoro di Buzzati e Chailly suscita più di qualche perplessità. Da una parte il pubblico, al solito poco disposto a mettere in discussione i modelli visivi e sonori del melodramma di tradizione, manifesta un dissenso a metà tra ilarità e polemica; dall’altra, le letture critiche, anche quelle musicalmente più avvertite, si mostrano incerte e altalenanti nel valutare e ‘posizionare’ correttamente Ferrovia soprelevata.

L’opera, in effetti, presenta connotati formali e drammaturgici piuttosto singolari, che ne rendono difficile una precisa categorizzazione in termini di genere. Nata da un progetto di radiodramma, finisce per mantenerne anche in sede teatrale alcune specificità, come la presenza ‘epica’ dello speaker o la predilezione per la ‘sonorizzazione’: ne risulta, di fatto, un dramma recitato con episodi di musica ‘interna’, ma con la presenza costante di un suono orchestrale che – per dirla con le parole del compositore stesso – finisce per assumere la funzione di un ‘personaggio’. A ciò si aggiunga che il soggetto di Buzzati, in cui il tema del peccato e della redenzione assumono la veste surreale di una favola tragicomica con tanto di diavoli, angeli e metamorfosi, viene ritenuto almeno in parte inadeguato dalla censura teatrale, che costringe l’autore a operare pochi ma significativi stravolgimenti, col risultato di una curiosa e paradossale incongruenza, nella quinta scena, tra testo e musica. Questi elementi, oltre a fare di Ferrovia soprelevata un ‘oggetto’ invero stimolante in vista di un’analisi drammaturgico-musicale, invitano a riconsiderare il lavoro di Buzzati e Chailly (riallestito nel 2009, per la prima volta nella versione originale) anche in relazione al proprio orizzonte storico e culturale d’appartenenza: caratterizzato dalla costante e diffusa percezione di una crisi definitiva del genere operistico, ma non per questo privo di segnali di assoluta vivacità creativa.