Ernesto Pulignano (Bologna)
Soluzioni formali nelle “Bohème” di Puccini e Leoncavallo

È possibile elaborare un modello d’analisi sincretico per l’opera di Puccini e dei suoi contemporanei? La critica ha rilevato una certa persistenza de canone ottocentesco nei primi lavori del compositore lucchese, integrata con la tecnica dei motivi ricorrenti (Girardi); o ha all’opposto constatato che il contrasto della scrittura risponda soltanto ad esigenze drammatiche, piuttosto che delimitare singole sezioni di una forma musicale (Powers), e che non vi siano correlazioni tra le articolazioni musicali di una supposta Solita Forma e la struttura metrica del testo (D. Rosen).
Gli studi sulla segmentazione del testo operistico propongono di tener conto di tutti i dati provenienti dalla partitura, dal libretto e dal dramma: la struttura musicale anzitutto, ma anche quella verbale e drammatica, definita dalle didascalie sceniche, e dalle uscite e entrate dei personaggi, possono orientare il lavoro dell’analista (Pagannone); mentre i contributi recenti sulla drammaturgia operistica dei compositori della “Giovane Scuola” hanno evidenziato l’uso di moduli sinfonici e procedimenti ‘rotazionali’ dei motivi ricorrenti, nonché i rapporti tra la gestualità scenica e la scrittura orchestrale (Targa).
Obiettivo del presente contributo è un’analisi comparativa tra le due Bohème di Puccini e Leoncavallo, entrambe tratte dal medesimo soggetto letterario – Scènes de la vie de bohème di Henri Murger – e andate in scena a un anno di distanza. In entrambe relitti di Solita Forma convivono con ‘nuove forme’ o ‘forme ad hoc’, ma le diverse soluzioni adottate dai due compositori – nelle forme drammatico-musicali come nella scrittura della melodia – inducono un diverso grado d’immedesimazione nello spettatore, e dànno origine a due diverse drammaturgie: quella di Puccini, incentrata sulla vicenda umana dei personaggi, quella di Leoncavallo, più incline al ‘colore locale’.