Gianluigi Mattietti
Nella filiera che regola la produzione musicale, e che si articola sostanzialmente in tre punti – (a) compositore > partitura; (b) interprete > esecuzione; (c) ascoltatore > giudizio –, la figura del critico musicale si inserisce nel punto (c) come un ascoltatore “speciale”, riconosciuto come un “esperto” per le sue specifiche competenze, per l’ampia esperienza di ascolto, per la finezza nel giudizio, per la possibilità di fare confronti sulla base di un personale database immagazzinato in memoria. La critica si innesta come una naturale componente del mondo musicale, e per quanto oggi “sbriciolata” nella carta stampata, “liquefatta” nella rete e nei social, risponde anche al bisogno degli stessi ascoltatori di avere dei punti di riferimento per orientare e affinare i propri gusti e per espandere i propri orizzonti musicali. Quando riesce a generare curiosità, la critica stimola l’ascolto e in questo modo alimenta la filiera musicale. Se si ragiona sulle funzioni della critica, un caso interessante riguarda la musica contemporanea, da decenni percepita come una nicchia a sé stante della musica “classica”, e spesso vista con diffidenza. Ma la musica classica è in realtà sempre stata contemporanea. Ed è di musica contemporanea che si sono occupati i critici da quando è nata la Rezension, come ci ricorda Paolo Gallarati (nel suo contributo del 13 dicembre 2022 A che cosa serve la recensione?, per la commissione del SagGEM Incidenza della cultura musicale nella stampa quotidiana e periodica), nella seconda metà del Settecento. Oggi invece, soprattutto in Italia, il critico musicale scrive di musica del passato, si esercita sul punto (b) della filiera, cioè sull’interpretazione di un repertorio (a) più o meno prefissato (salvo le sempre stimolanti riscoperte, edizioni critiche, ecc.). All’opposto, il critico che affronta la creazione musicale (a) ha di solito poco da dire sulla sua esecuzione, in mancanza di confronti in una Uraufführung, ma deve contestualizzare i nuovi fenomeni musicali: in particolare, deve tenere conto dell’ampio e articolato contesto culturale nel quale si sviluppa la musica contemporanea, che oggi si muove spesso a cavallo tra forme d’arte diverse, si confronta con il digitale, la realtà aumentata e virtuale, l’intelligenza artificiale, ma che integra spesso elementi “concreti” e di tipo meccanico, mescola performance teatrale e istallazione, usa elementi performativi come materia stessa della composizione, sovrappone talvolta i ruoli di compositore e interprete, o, nelle opere di tipo partecipativo, fa entrare in gioco anche l’ascoltatore-spettatore. Appaiono così del tutto obsoleti alcuni strumenti critici usati in passato dalla critica, spesso connotati ideologicamente (impegnato/disimpegnato, dissonante/neotonale, sperimentale/passatista ecc.), griglie teoriche pratiche, ma piuttosto grossolane e manichee. La critica musicale rivolta alla musica del nuovo millennio acquista, quindi, un ruolo fondamentale nell’orientare l’ascolto, nel descrivere un panorama ricco di stimoli – che sta modificando molti paradigmi e categorie estetiche –, nel cogliere i tratti di una musica radicale (oggi ancora più che nell’avanguardia storica) ma immediata, mai astratta, sempre attenta proprio alla percezione. Ovviamente ha il compito di stabilire criteri di giudizio, impostando filtri (nuovi) per distinguere il capolavoro dal “bluff”. La critica della musica contemporanea è oggi marginale, ma proprio per la ricchezza, la varietà, l’appeal multidisciplinare del mondo cui fa riferimento, dimostra un grande potenziale, ancora inespresso, che contribuirà probabilmente a restituirle gli spazi perduti nella stampa e nei media.