in collaborazione col 
Dipartimento delle Arti Alma Mater Studiorum — Università di Bologna  

Ventitreesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Abstracts

 


MATTEO QUATTROCCHI
 (Milano)

«Il “Nerone” non piace a Toscanini»: un caso per riconsiderare l’opera di Boito

Il 10 giugno 1918 moriva Arrigo Boito. All’epigrafe funeraria, fra le res gestae, mancava proprio l’opera alla quale aveva strenuamente lavorato per tutta una vita (dal 1862 al 1916): la tragedia in cinque atti Nerone. Fra i tanti problemi lasciati aperti dalla morte del compositore, lo stato del Nerone alimentò subito le opinioni più contraddittorie. Chi sosteneva l’esistenza di una partitura completa ed eseguibile, chi esattamente il contrario.
In quale forma, dunque, il defunto Maestro ne aveva abbandonato la composizione? L’opera poteva essere veramente eseguita?
Le fonti manoscritte del Nerone sono due: una, del 1911, mancante del primo atto, conservata presso l’Archivio Storico Ricordi a Milano; l’altra, perfettamente completa, datata 12 ottobre 1916, conservata presso la Sezione musicale della Biblioteca Palatina di Parma (in entrambe le partiture l’opera si chiude col quarto atto). Tuttavia, nemmeno dopo la revisione compiuta da Arturo Toscanini e Vincenzo Tommasini, in vista della solenne rappresentazione scaligera (1° maggio 1924), si seppe con precisione quale fosse la verità sui ruoli e sullo stato del Nerone. L’affidamento ad Arturo Toscanini del lavoro di revisione fu salutato unanimemente come garanzia assoluta del rispetto della volontà dell’autore. Toscanini, avendo ritenuto l’indole di Boito troppo debole e indecisa per realizzare definitivamente la partitura in quel mare di annotazioni e varianti, preferì sobbarcarsi in prima persona della ristrumentazione dell’opera.
Da un raffronto tra le fonti manoscritte boitiane e l’edizione a stampa Ricordi del 1925, firmata Toscanini/Tommasini, emergono diverse discrepanze. La relazione, improntata su un caso specifico, si propone di mettere in luce come la direzione adottata dai due revisori sembrerebbe quella di ristrumentare e a volte sovvertire completamente la concezione strumentale originaria. La nuova strumentazione, permeata dal gusto impressionista e debussiano dei due revisori, permise sì alla partitura boitiana di essere eseguita nel ventesimo secolo, ma ne tradì forse la facies sonora originaria dell’opera?