Monica Boni (Reggio Emilia)
 “Isomorfismi” nella musica e nella pittura: il caso di Anton Webern e Piet Mondrian

È noto il riconoscimento di particolari affinità tra musicisti e pittori che hanno operato nella prima metà del Novecento. A suffragare l’esistenza di un comune pensiero cui gli artisti avrebbero informato il loro operare è, come nel caso di Kandinskij e Schönberg, la certezza documentata di uno scambio, di un agire in regime di reciprocità nella definizione di un tempo pittorico e di uno spazio musicale.
Riscontri storici altrettanto fondati non trova il parallelismo tra Mondrian e Webern, avanzato a partire dall’inizio degli anni Cinquanta da compositori dell’avanguardia seriale, a legittimazione del proprio credo e con lo scopo di contrapporre all’iniziale fase di rottura con la rappresentazione della figura e con la tonalità, impersonata dal binomio Kandinskij-Schönberg, quella successiva di una più ‘radicale’ messa in discussione del linguaggio. Sulla ‘pertinenza’ di questo secondo parallelismo dubbi e perplessità travalicano la circostanza storica di aver agito l’un artista all’insaputa dell’altro sulla scena dei medesimi anni: argomento che peraltro Boulez utilizza per accentuare il timbro “sorprendente” di unavisione’ così affine tra musicista e pittore. Quest’analogia, infatti, non sembra tener conto delle divergenti posizioni di Webern e di Mondrian nei riguardi della tradizione, con la quale il primo si rapportò in dichiarata continuità, quanto in ricercato contrasto il secondo.
Cionondimeno questa lettura in parallelo trova un punto di forza nell’idea di astrazione perseguita dai due artisti, i quali, fatte salve le determinazioni della musica e della pittura, mostrano un atteggiamento simile verso il materiale con cui lavorano e approdano entrambi ad una reductio ad minimum dei mezzi espressivi. Su questo piano l’osservazione di alcune corrispondenze tra le fasi creative sposta l’attenzione dai risultati specifici a ciò che precede la scrittura musicale e l’organizzazione dello spazio dipinto. È come se nelle opere di Mondrian e di Webern alle “sostanze” subentrassero pure strutture relazionali e in questa particolare rappresentazione degli a-priori conoscitivi affiorassero, a livello di analogia fisionomica, e dunque sul lato della visione/ascolto, alcuni isomorfismi.
L’impiego di un software che trasforma gli impulsi digitali in forme geometriche consente di scindere il momento della discriminazione percettiva dalla possibilità di osservare analiticamente il tracciato delle “figure musicali”. La sua applicazione alle Variazioni per pianoforte op. 27 risolleva il tema della recezione creativo-compositiva weberniana veicolata dalla storica esecuzione di Peter Stablen: la prefigurazione sonora dell’autore in controtendenza con l’immagine ‘a punti’ della sua scrittura.
Il mezzo mostra tutta l’“evidenza sonora” del dato sensoriale portatore di valori sintattici, relazionali e dunque espressivi.  Le immagini del suono organizzato nello spazio illusorio della percezione, qui riprodotto artificialmente, rendono ragione della sintesi che il nostro intelletto compie al di fuori della temporalità. Il dinamismo della gerarchia funzionale, in base alla quale sono organizzate le componenti di ciascuna figura, determina la direzione interpretativa di quegli stessi dati, per cui la struttura relazionale della figura si proietta verso l’insieme delle relazioni formanti delle figure vicine generando isomorfismo. I palindromi del primo movimento dell’op. 27, in quanto configurazioni simmetriche, non oppongono se non in sé una vera chiusura. Al contrario la loro successione sembra mettere a tema la stessa idea di spazio infinito di cui le tele di Mondrian offrono al nostro sguardo regioni marginali, scandite dall’ortogonalità di linee rette. Ma se nelle intersezioni delle rette di Mondrian sono gli universali ad essere pittoricamente esibiti, in Webern sono le figure musicali ad incarnare le simmetrie delle quali gli assi (invisibili) costituiscono il perno.