Ventesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Bologna, 18-20 novembre 2016

 

Abstracts

Nicola Usula (Bologna)
Di verità alterate e complesse strategie: Giovan Carlo de’ Medici e l’“Ipermestra” 

20 Novembre 1657. La regina Marianna d’Asburgo dà alla luce l’erede al trono di Spagna, Felípe Prospero, e, nel giro di qualche settimana, da Firenze arrivano a Madrid gli auguri del cardinal Giovan Carlo de’ Medici assieme a un’inattesa comunicazione: nel teatro della Pergola, inaugurato solo qualche anno prima dal cardinale in persona e dagli Accademici Immobili, si terrà un’opera in onore dell’Infante. Si tratta nientemeno che della prima dell’Ipermestra di Giovanni Andrea Moniglia e Francesco Cavalli: il miglior librettista fiorentino che la piazza potesse offrire e il compositore le cui opere garantivano il successo delle stagioni teatrali di tutta Italia ormai già da un ventennio. La dedica a Felípe Prospero campeggia sul frontespizio del libretto stampato per l’occasione, e nella Descrizione che lo accompagna leggiamo che al librettista fu chiesto «frettolosamente» di stendere un plot che narrasse di una dinastia reale in pericolo, in modo da omaggiare gli Asburgo spagnoli e la rinnovata speranza di una discendenza diretta grazie alla nascita del primo figlio maschio di Filippo IV. 

Eppure lo studio delle fonti librettistiche e musicali racconta tutta un’altra storia. A completamento e parziale rettifica delle teorie formulate finora in merito all’allestimento dell’Ipermestra (Bianconi-Walker 1975, Decroisette 1972, 2000), grazie alle informazioni ricavate dal carteggio di Giovan Carlo (Mamone 2003) e dall’analisi dei testimoni superstiti del testo drammatico e musicale, condotta personalmente, ho fatto luce sulla complicata rete di dediche disattese e allestimenti mai andati in porto che Giovan Carlo pianificava per quest’opera sin dal 1654, ben prima della nascita del principe spagnolo. L’Ipermestra si configura, quindi, come un caso esemplare delle strategie di autopromozione e affiliazione politica che soggiacevano alla scelta dei soggetti e dei dedicatari nel contesto operistico ibrido (di corte, accademico e pubblico) della Firenze di metà Seicento, e, attraverso le sue vicende, mostra di quanta flessibilità e duttilità fosse capace l’oggetto “opera” di fronte al rapido mutare delle contingenze politiche e sociali dell’allestimento.