Cristina Baldo — Daniela Castaldo

Riflettendo sul lavoro della IV Commissione SagGEM (“Peso e incidenza della cultura musicale nella stampa quotidiana e periodica”) e dopo aver ascoltato e letto la relazione di Marina Mayrhofer che indica in maniera chiara le direttive sulle quali muoversi, ci siamo interrogate sul senso stesso di quanto stavamo per fare. Perché analizzare il peso e l’incidenza della cultura musicale nella stampa? Ovvero, come inserire questo tipo di lavoro in una prospettiva operativa, didattica, intendendo la didattica non solo come settore della pedagogia che studia i modi dell’insegnamento in ambito scolastico, ma anche come campo di indagine dei modi di comunicare la cultura in senso lato? In quest’ottica, infatti, gli organi di stampa, insieme a tutti i mass media, svolgono un’importante funzione di educazione, o diseducazione, con cui, inevitabilmente, bisogna fare i conti anche nella aule scolastiche. Dunque, come potrebbe la stampa incidere sulla formazione musicale e contribuire ad allargare la ristretta cerchia dei frequentatori della musica d’arte? Quanto la stampa è responsabile del fatto che nell’opinione comune troppo spesso si pensi alla musica tenendo conto esclusivamente del genere popular?

Abbiamo quindi condotto una piccola indagine ‘sul campo’, prendendo in considerazione campioni di quotidiani e periodici, per verificare e circostanziare i diversi aspetti della questione, seguendo lo schema di Marina Mayrhofer.

Per quanto riguarda la tipologia degli organi di stampa, si possono individuare due grandi categorie di pubblicazioni: quelle per addetti ai lavori e quelle d’opinione. Quelle che rientrano nella prima categoria, e che per la maggior parte sono a cadenza mensile, in qualche modo restano fuori dal nostro interesse, perché destinate ad un pubblico già musicalmente acculturato. Rispetto alla seconda categoria, nelle riviste che potremmo definire ‘d’opinione’, destinate a diversi target di pubblico (settimanali come «Panorama» o l’«Espresso», il Magazine del «Corriere della sera», il Venerdì di «Repubblica», Specchio della «Stampa»; oppure quelli cosiddetti ‘femminili’ come «Io donna», o «Donna moderna»), gli articoli di carattere musicale ricoprono uno spazio piuttosto ristretto. I contributi più estesi sono per la maggior parte costituiti da interviste a interpreti di importanti eventi musicali (direttori d’orchestra, cantanti o esecutori) quasi esclusivamente della musica popular o al più del jazz, mentre più raramente riguardano la musica d’arte, e si tratta di articoli in larghissima misura incentrati su fatti biografici. Altri contributi parlano di un evento particolare, di un luogo, della risposta del pubblico, come si può riscontrare, ad esempio, in un numero dell’«Espresso» (novembre 2008), dove su circa 50 articoli ‘culturali ’, tre sono relativi all’uscita di nuovi dischi pop (Mina, Paolo Conte, De André) uno è dedicato al maestro Zubin Metha e alla costruzione del nuovo teatro sede del Maggio Musicale Fiorentino, tutti gli altri riguardano il cinema, il teatro, le mostre e altri eventi. Davvero significativo, poi, l’inserimento di articoli di argomento musicale, di qualsiasi genere, nella rubrica degli “Spettacoli” e non in quella di “Cultura” in «Panorama» e nel Venerdì di «Repubblica». La musica, evidentemente, in Italia non viene considerata parte della cultura, piuttosto è un fatto di costume, buona per il divertimento o, al più, per blande considerazioni sociologiche.

Facciamo qualche esempio concreto: «Perché ascoltare Puccini è un piacere da non perdere» («Donna moderna»). Dal titolo ci si potrebbe aspettare qualche indicazione relativa, appunto, all’ascolto della musica del compositore, ma, invece, di cosa parla l’articolo in esame? «Le sue opere raccontano amori struggenti e donne meravigliose», «le donne amorosamente devote, uscite dalla sua fantasia e finite nei teatri di tutto il mondo si intrecciano con le donne della sua vita»: queste frasi danno il via al racconto della vita privata di Puccini, con riferimento al film-documentario Puccini e la fanciulla di Paolo Benvenuti (2008), seguito da una rassegna di altri film che utilizzano la musica di Puccini come colonna sonora, per giungere all’elenco delle recenti celebrazioni pucciniane. Nulla sulla sua musica, nulla che potrebbe anche vagamente ricondursi ad un’educazione all’ascolto. Ma si tratta di un periodico femminile, e dunque potremmo non solo giustificare il taglio, ma anche, tutto sommato, considerare positivamente la presenza di un articolo che possa invogliare la lettrice ad accostarsi, magari anche attraverso il cinema, la mostra a lui dedicata, il libro fotografico o perfino il fumetto creato in occasione dell’anniversario pucciniano, alle opere e alla musica del compositore.

Ma anche su riviste di taglio più culturale la musica è legata al pettegolezzo, alla vita privata e all’immagine di personaggi della musica, considerati proprio come divi dello spettacolo. Citiamo come esempio «Panorama» (18/9/2008), dove, lo ricordiamo, la musica fa parte della rubrica “Spettacoli“ e non della “Cultura“: «Opera hot Poppea in babydoll, Violetta su tacco 12, Manon in reggicalze… Le artiste più sexy scombussolano il melodramma e piacciono anche a Playboy. I puristi storcono il naso, ma così i teatri si riempiono di giovani». L’articolo è dedicato alle nuove bellezze della lirica, capaci di rimpolpare pubblico e sponsor grazie al loro fascino. Ma la musica dove sta? Ci pare passi nettamente in secondo piano.

In tutti gli articoli presi in esame non si parla di musica, delle sue caratteristiche e dei suoi autori, bensì di quanto sta intorno alla musica. Questo vale anche per la critica musicale, che raramente, recensendo un concerto, indugia sulle caratteristiche dei brani eseguiti, fa approfondimenti sulla produzione di quel determinato compositore. Questo vale anche per gli articoli dedicati alla musica popular: se si considera ad esempio quanto è stato scritto a proposito delle canzoni del Festival di Sanremo, molto raramente si è parlato di musica, quasi sempre dei testi delle canzoni e di altri aspetti legati all’evento.

Nelle presentazioni di CD di musica d’arte, talvolta si può rilevare l’utilizzo di un linguaggio più specifico, comprensibile a chi la musica la conosce, ma piuttosto oscuro per gli altri. Probabilmente si pensa, purtroppo crediamo a ragione, che costoro non siano assolutamente interessati a tali rubriche.

Anche nei quotidiani l’aspetto legato agli eventi è preponderante e il taglio degli articoli si direbbe più sociologico e di costume che non musicologico: critiche musicali rivolte a chi alla musica è avvezzo e magari ha assistito al concerto o all’opera in questione, interviste a direttori d’orchestra o a interpreti imperniate sulla situazione dei teatri o sui tagli alla cultura. Ciò vale per i quotidiani italiani, compreso il supplemento culturale della domenica del «Sole 24 ore», e in parte per i quotidiani stranieri. Questi articoli sono nettamente la maggioranza, anche se qualche trafiletto che invita all’ascolto della musica o alla lettura di libri di musica, con un linguaggio non superficiale ma comprensibile, lo abbiamo trovato. Ad esempio una recensione di un libro sul metodo Gordon apparsa sull’«Unità» (12/1/2009) diventa occasione per parlare dei modi di fruizione passiva della musica e invitare a riprendere quella pratica del canto andata persa nella società contemporanea senza trascurare la musica d’arte. Alcune recensioni entrano anche nel merito della musica. Sempre sull’«Unità» (20/1/2009) leggiamo una recensione ad una rappresentazione della Partenope di Händel in cui si danno anche alcune informazioni sull’opera barocca e alcuni consigli discografici. Esempi simili si trovano anche su altre testate, ma, ripetiamo, essi rappresentano una minima parte del già ridotto spazio dedicato alla musica d’arte.

Da uno sguardo alla stampa estera, la situazione non appare molto diversa quanto al considerare la musica d’arte un interesse di nicchia; ma forse, soprattutto in Germania e in Gran Bretagna, si può cogliere una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’aspetto didattico e della formazione. Nella versione online di «Der Spiegel», ad esempio, gli articoli che recensiscono un concerto o un’incisione discografica recano links per approfondimenti sui compositori, sulle opere, sugli esecutori, sulle forme musicali e i periodi storici. Questi collegamenti rimandano a vari siti generici, (Wikipedia) o specialistici (la versione ridotta del Grove Dictionary of Music and Musician).

La stampa nazionale britannica sembra molto sensibile agli aspetti educativi. Sul «Times», ad esempio, hanno trovato posto numerosi dibattiti relativi ai problemi dell’educazione musicale nelle scuole. Si è discusso, ad esempio, della scarsa motivazione dei docenti della scuola primaria specializzati in musica (04/01/2003) e molto interessante ci è sembrato il dibattito sull’opportunità di far rientrare la lettura della musica tra gli insegnamenti della scuola superiore britannica: i pedagogisti e musicisti interpellati hanno posto la conoscenza della grammatica della musica allo stesso livello delle altre competenze che concorrono a formare il bagaglio di cultura generale con cui lo studente esce dalla scuola superiore. Il saper leggere la musica è stato considerato non come competenza specialistica, ma come parte integrante delle conoscenze utili a considerare la tradizione musicale occidentale non più come un patrimonio esclusivo, fruibile solo da pochi (08/08/2008). La progressiva diminuzione delle persone provviste di una formazione musicale, invece, farebbe sì che anche nei programmi culturali si parli di letteratura, di arti visive, di teatro, di cinema, ma non di musica d’arte, perché pochi conoscono il suo linguaggio (25/02/2005). Altre considerazioni hanno riguardato ad esempio la diffusione dell’attività corale nelle scuole, non solo come ottimo mezzo per avvicinare i bambini e i ragazzi alla musica, ma anche come attività socializzante (16/01/2007).

Questi approfondimenti evidenziano come, sebbene nel Regno Unito la situazione dell’educazione musicale nelle scuole sia critica, tuttavia l’establishment culturale sia consapevole di questo progressivo impoverimento culturale e si interroghi su come arginarlo. Alcune iniziative volte a diffondere l’interesse per la musica d’arte nei più giovani possono forse suscitare qualche perplessità, come lo spettacolo Barbie at the Symphony, in cui la London Concert Orchestra eseguiva brani celebri di musica classica (di Beethoven Čaikovskij Dvořák), mentre sullo schermo scorrevano scene dei film d’animazione di Barbie (04/01/2008). In questo caso ci si è chiesti se si trattasse solo di un’operazione commerciale o se l’iniziativa avesse anche lo scopo di avvicinare le giovani alla musica classica e alla pratica strumentale. Il National Singing Programme è un programma nazionale che prevede la creazione di una banca dati da cui gli insegnanti possano scaricare brani musicali di vario genere (soprattutto canzoni) da utilizzare nell’insegnamento: canzoni per imparare a contare, conoscere la geografia, personaggi o periodi storici, o anche come supporto allo sviluppo fisico e alla consapevolezza di sé. Queste tracce di musica e canto potranno essere usate dai docenti sia per cantare in gruppo, con le modalità del Karaoke, sia per l’apprendimento della tecnica strumentale utile alla riproduzione dei brani stessi (02/11/2007).

Tornando allo schema di Marina Mayrhofer e applicandolo quantomeno alla stampa italiana, riscontriamo che la “fisionomia degli articoli” per la maggior parte consiste in generici interventi e commenti stilati da opinionisti, critici o musicologi in occasione di particolari eventi e destinati ad un pubblico di lettori musicalmente non alfabetizzati, che si rivolgono a questi articoli più per gli aspetti di costume o per il taglio sociologico che per uno specifico interesse musicale.

Conclusioni analoghe possono essere tratte anche prendendo in esame altri mass media, innanzitutto la televisione. Ci sono trasmissioni divulgative anche apprezzabili sull’arte figurativa, la letteratura, la scienza in generale, ma sono quasi del tutto assenti i programmi a soggetto musicale (salvo la messa in onda di qualche concerto). Significativo, ad esempio, il fatto che nella trasmissione di Fabio Fazio (Che tempo che fa) cantautori e cantanti pop hanno un considerevole peso, di gran lunga maggiore rispetto a quello dato a personaggi degli interpreti di musica d’arte.

Cosa si evince da questa piccola indagine? Si parla poco di musica d’arte, molto meno di quanto non accada per le arti figurative, che peraltro godono anche dell’inserimento nel settore “Cultura”. Spesso, in occasione delle principali mostre-evento, anche sui quotidiani d’opinione si leggono approfondimenti sugli artisti cui le mostre e le rassegne sono dedicate, non di rado comprensivi di alcuni strumenti per imparare a “leggere” un quadro. Non si può fare la stessa cosa con la musica perché occorrerebbe usare un linguaggio e una terminologia per addetti ai lavori che non sarebbe comprensibile per un pubblico che abbia sì una cultura medio-alta, ma che non sia musicalmente alfabetizzato. Nel bagaglio di cultura generale acquisito durante il percorso scolastico, non sono previste competenze musicali di base: la presenza ‘superficiale’ della musica nei mezzi d’informazione sembra riflettere la considerazione che la musica d’arte ha nella società contemporanea: è una conoscenza di nicchia.

Come fare per ‘agganciare’ lettori? Sì la cronaca, ma affiancata da un approfondimento con finalità didattiche. I lettori non si avvicinano perché non hanno gli strumenti per farlo. Allora bisogna fornirglieli, intervenendo fin dall’età scolare: come per una persona mediamente acculturata risulta comprensibile la lettura di un approfondimento di storia dell’arte, così dovrebbe essere anche nel caso di un testo d’interesse musicale.

Possiamo constatare l’incapacità della stampa di fornire chiavi di lettura e di comprensione della musica, giustificata dal fatto che il lettore comune non avrebbe gli strumenti per intendere il linguaggio musicale, poiché la scuola non li fornisce nel suo percorso curricolare. Incapacità della stampa per incapacità della scuola, che è incapace perché il retroterra culturale-musicale degli allievi è nullo. Come uscire da questo circolo vizioso? Potremmo a tal fine considerare l’ossequio reverenziale con cui si parla (o forse è meglio dire “si accenna”, “si allude”) di musica d’arte. Sacro timore o paura di annoiarsi con essa? Citiamo dall’archivio di «Panorama» consultabile online (29/04/1999): «Che musica! È colta ma (finalmente) non è noiosa». Seguono considerazioni sulla contaminazione di stili propria di tanti autori contemporanei, che hanno «rinnovato l’ascolto, rimescolato le carte, aperto nuove possibilità di rapporto fra artisti e pubblico. Un pubblico prevalentemente giovane».

Come uscire da una situazione nella quale la musica d’arte viene considerata noiosa? Non è soltanto una questione di stile compositivo, secondo noi. Forse dovrebbero rinnovarsi anche i modi della fruizione. L’inaugurazione del Festival di Vienna viene proiettata su un maxischermo nel parco, dove si accalca un pubblico prevalentemente giovane che viene invitato a considerare la musica d’arte come importante patrimonio culturale. E la cultura dovrebbe essere sentita come intrecciata con la propria vita, parte imprescindibile di un percorso umano ed esistenziale, non accatastata nelle bacheche di un museo. Cultura vitale e cultura museale: questa indagine sulla stampa ci ha portato anche a pensare che questo è un nodo fondamentale per affrontare anche il problema della mancanza di cultura musicale in Italia. La stampa non fa che riflettere lo status della mancanza di educazione musicale e anche di una considerazione della musica d’arte come oggetto di un polveroso museo.

Forse anche l’ambito musicale, della musica d’arte, dovrebbe imparare a comunicare. E alcuni lo fanno, senza scadere nella pura spettacolarità: Barenboim che, intervistato da Fazio mostra entusiasmo, impegno civile, simpatia; o il pianista Lang-Lang che, in un’altra puntata della medesima trasmissione, racconta di quanto gli piacesse da bambino il cartone animato di Tom e Jerry, dando un’immagine accattivante di sé e facendo partecipare gli ascoltatori al suo entusiasmo per la musica. Ma anche il soprano Gladys Rossi, che sul «Corriere della Sera» (31/01/2009) racconta di come il sogno di Sanremo l’abbia portata, invece, alla Scala e come dalle canzoni sia arrivata alla lirica, può essere un punto di partenza per avvicinare un più vasto pubblico alla musica. Un punto di partenza. Il guaio è che questo ci sembra essere più un punto di arrivo che di partenza.

Su «Repubblica» del 31/01/2009 leggiamo: «La musica moderna piace, è un errore non divulgarla». L’articolo è un’intervista a Maurizio Pollini su un suo nuovo progetto «nato per spettatori non specialistici, per imparare ad ascoltare con naturalezza». Cerchiamo la novità del ciclo di concerti: «Dai programmi è bandita la pigrizia d’ascolto, e ogni etichetta storico-cronologica. Musica moderna e basta, perché Beethoven, Chopin e Bach hanno cercato il nuovo; come Schönberg, Stockhausen, Webern e Nono, e come continua a fare Boulez […] l’audacia di certe scelte tonali e dei cromatismi di Bach è frutto di uno spirito d’avanguardia. Certe cantabilità o articolazioni giocate sul rapporto tra melodie e pause delle sonate di Beethoven aiutano a impadronirsi della logica del puntillismo […] La conoscenza della musica degli anni ’50-’70 è vitale alla consapevolezza culturale moderna». Ci viene il dubbio che questo sia un esempio di tentativo di divulgazione senza mediazione didattica, divulgazione come semplice esecuzione.

Ritorniamo ai nostri interrogativi iniziali, sul senso e sulle prospettive operative di questa indagine. La didattica e l’approccio analitico alla musica dovrebbero, a nostro parere, coinvolgere anche i mezzi di comunicazione, stampa e mass media. E chissà se un giorno si potrà assistere ad una trasmissione che, magari sulla falsa riga di Per un pugno di libri, si proponga di stimolare i ragazzi all’ascolto della musica d’arte? O siamo nel regno dei sogni?