Il quagga, o dello spaesamento museale

Oggi non esiste museo in cui non si svolgano attività didattiche. Ma quali idee orientano le scelte dei responsabili di tali attività? Per parte nostra, crediamo fermamente che questi operatori non debbano perdere di vista le peculiarità del concetto di “museo” e, dunque, che la didattica museale debba attingere i suoi strumenti, oltre che dalla pedagogia e dalle didattiche disciplinari, anche e soprattutto dalla museologia.

André Malraux ricordava che il museo è da sempre il luogo dello spaesamento dell’oggetto e che tale, inevitabile, spaesamento è alla base di una sua qualsiasi e possibile ricontestualizzazione [Il museo dei musei (1951), Leonardo, Milano, 1994]. Così abbiamo pensato di ampliare questa idea, coinvolgendo in un’esperienza di (lieve) spaesamento anche gli studenti del corso di Didattica museale della Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici della nostra Università. Li abbiamo invitati a concepire un progetto destinato a luoghi con cui avessero minore consuetudine rispetto ai musei d’arte, e con i quali non fosse loro possibile far ricorso ad automatismi disciplinari: i musei scientifici, quelli naturalistici, di storia della scienza, i science centers e così via, ovvero spazi e istituzioni che, generalmente, non ospitano oggetti d’arte, perlomeno nella loro forma più tradizionale.

Esiste una sorta di refrain sulla vocazione didattica dei musei scientifici, secondo cui essi sarebbero luoghi ben più tranquillizzanti rispetto ai musei d’arte, dal momento che, si dice, confessare pubblicamente “la propria ignoranza rispetto al quagga o al sistema periodico degli elementi sarebbe meno disdicevole che ammettere di non aver idea di chi possano essere il Pontormo o Yves Klein” (M. T. Balboni Brizza, Immaginare il museo, Jaca Book, Milano, 2007, p. 90). Certo, se ben pochi si imbarazzano di fronte a una défaillance di memoria sulla tavola periodica, nessuno si tormenterà se non conosce il quagga. Ma che cos’è? E soprattutto: osservato da vicino, un quagga continua davvero ad essere così tranquillizzante?

Il quagga è una zebra estinta e presente, in molti esemplari impagliati, nei musei del mondo. Alcuni decenni or sono, però, è stato oggetto di un celebre programma di breeding back, il cui l’obiettivo era quello di ricostruirne “ad arte” l’aspetto esteriore, per poi ripopolare le pianure del Sudafrica con centinaia di ibridi somiglianti agli originali scomparsi.

Perciò lo abbiamo scelto come mascotte per il nostro progetto di didattica museale sulle correlazioni tra arte e scienza. Perché questo curioso animale, a mezza via tra arte e natura, suo malgrado ci disorienta e, al contempo, ci consente di ribadire la necessità di una riflessione su universi differenti. Con il quagga possiamo guardare alle cose con occhi diversi, e compiere il primo passo di un percorso educativo destinato a luoghi culturali, e dunque sociali, in cui da sempre oggetti spaesati condividono la stessa necessità di trovare un loro nuovo significato.

 Chiara Tartarini

Docente di Didattica museale

Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici – Università di Bologna

Il quagga, o dello spaesamento museale

Il quagga, o dello spaesamento museale

Oggi non esiste museo in cui non si svolgano attività didattiche. Ma quali idee orientano le scelte dei responsabili di tali attività? Per parte nostra, crediamo fermamente che questi operatori non debbano perdere di vista le peculiarità del concetto di “museo” e, dunque, che la didattica museale debba attingere i suoi strumenti, oltre che dalla pedagogia e dalle didattiche disciplinari, anche e soprattutto dalla museologia.

André Malraux ricordava che il museo è da sempre il luogo dello spaesamento dell’oggetto e che tale, inevitabile, spaesamento è alla base di una sua qualsiasi e possibile ricontestualizzazione [Il museo dei musei (1951), Leonardo, Milano, 1994]. Così abbiamo pensato di ampliare questa idea, coinvolgendo in un’esperienza di (lieve) spaesamento anche gli studenti del corso di Didattica museale della Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici della nostra Università. Li abbiamo invitati a concepire un progetto destinato a luoghi con cui avessero minore consuetudine rispetto ai musei d’arte, e con i quali non fosse loro possibile far ricorso ad automatismi disciplinari: i musei scientifici, quelli naturalistici, di storia della scienza, i science centers e così via, ovvero spazi e istituzioni che, generalmente, non ospitano oggetti d’arte, perlomeno nella loro forma più tradizionale.

Esiste una sorta di refrain sulla vocazione didattica dei musei scientifici, secondo cui essi sarebbero luoghi ben più tranquillizzanti rispetto ai musei d’arte, dal momento che, si dice, confessare pubblicamente “la propria ignoranza rispetto al quagga o al sistema periodico degli elementi sarebbe meno disdicevole che ammettere di non aver idea di chi possano essere il Pontormo o Yves Klein” (M. T. Balboni Brizza, Immaginare il museo, Jaca Book, Milano, 2007, p. 90). Certo, se ben pochi si imbarazzano di fronte a una défaillance di memoria sulla tavola periodica, nessuno si tormenterà se non conosce il quagga. Ma che cos’è? E soprattutto: osservato da vicino, un quagga continua davvero ad essere così tranquillizzante?

Il quagga è una zebra estinta e presente, in molti esemplari impagliati, nei musei del mondo. Alcuni decenni or sono, però, è stato oggetto di un celebre programma di breeding back, il cui l’obiettivo era quello di ricostruirne “ad arte” l’aspetto esteriore, per poi ripopolare le pianure del Sudafrica con centinaia di ibridi somiglianti agli originali scomparsi.

Perciò lo abbiamo scelto come mascotte per il nostro progetto di didattica museale sulle correlazioni tra arte e scienza. Perché questo curioso animale, a mezza via tra arte e natura, suo malgrado ci disorienta e, al contempo, ci consente di ribadire la necessità di una riflessione su universi differenti. Con il quagga possiamo guardare alle cose con occhi diversi, e compiere il primo passo di un percorso educativo destinato a luoghi culturali, e dunque sociali, in cui da sempre oggetti spaesati condividono la stessa necessità di trovare un loro nuovo significato.

 Chiara Tartarini

Docente di Didattica museale

Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici – Università di Bologna

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