È prassi diffusa nella scuola l’ascolto o l’esecuzione di canzoni celebri di ieri o di oggi. Sulla presenza della popular music nel sistema formativo mi sono soffermato alcuni anni fa (“Weg von der Fachwissenschaft?” Popular music, scuola e formazione, «Musica Docta», VII, 2017: https://musicadocta.unibo.it/article/view/7620). Qui mi concentro sulla scuola primaria con tre esempi concreti. Sono emblematici d’aspetti critici, bisognosi di riflessione. 

1. Argomento e destinazione della canzone. Non tutte le canzoni che conosciamo e come adulti amiamo sono adatte alla scuola. Proporre per esempio Vita spericolata (1983) di Vasco Rossi ai bambini della primaria può esser rischioso dal punto di vista formativo. Come si sa, questa canzone, grazie anche alla musica, è una sorta di inno, provocatorio libertario e forse disperato, a una vita libera e financo «maleducata». Proporla in una classe impone perlomeno una riflessione critica e distanziante, adatta, per la sua stessa portata, a ragazzi più grandi. Presentare in classe una canzone senza rifletter bene sulla sua tematica può rivelarsi un’operazione, per restare in argomento, spericolata: se ne dev’esser consapevoli.

2. Lessico. Nelle canzoni di Sanremo 2020, trasmesso in prima serata su Rai1, non era raro l’uso di termini che nel gergo comune definiamo “parolacce”. Ne troviamo in diversi brani. Ringo Starr dei Pinguini Tattici Nucleari è un caso emblematico. Di per sé in questa canzone si può cogliere una certa potenzialità formativa anche per dei bambini: è un invito ad apprezzarsi come si è – questo è sottolineato dalle stesse scelte musicali –, a non voler esser primi ad ogni costo, ad accettare senza invidia che altri siano i front men. Ma se la volessimo proporre nella scuola primaria, il termine “m’incazzo” invece di “m’arrabbio” costituirebbe un problema: esso richiederebbe un approccio più ampio, adatto semmai ai ragazzi più grandi, se non si vuole legittimare un lessico diffuso ma sconveniente o del tutto fuori luogo nella vita relazionale e professionale. È necessario leggere bene i testi e scegliere le canzoni di conseguenza.

3. Collocazione storico-sociale. Pure canzoni per l’infanzia del passato, magari dense di significato nel loro contesto originario e interessanti dal punto di vista musicale, possono diventare oggi problematiche, se non inadatte. Prendiamo ad esempio Il bambino di gesso di Sergio Endrigo e Gianni Rodari (1974). Questa canzone fa parte di un album per i bambini (Ci vuole un fiore) nel quale è netta la presa di posizione contro un modello formativo e scolastico al tempo ancora molto diffuso. Nel Bambino di gesso la stoccata è rivolta a un’idea ‘repressiva’ d’educazione. Essa è rappresentata dalla metafora del “bambino di gesso”: un bimbo cioè privo di slancio e spontaneità, prono alle attese degli adulti e sicuro preludio a un grigio yes man. Questa canzone, attuale nella temperie sociale e pedagogica dei primi anni Settanta, si presta ora a rischiosi fraintendimenti. Comportamenti oggi al centro d’ogni percorso formativo come il rispetto degli altri (nello specifico, p. es., l’attenzione a non far rumore «perché la mamma ha il mal di testa») o la cura personale (p. es. lavarsi i denti) sono annoverati in Endrigo-Rodari tra quelli ‘ingessati’. Del pari, tra le caratteristiche del futuro “uomo di gesso” figurano l’esser «prudente» e «diligente», ora ritenuti doti cruciali tanto umanamente quanto professionalmente. Forse, e sottolineo forse, una siffatta canzone la si potrebbe proporre in una quinta, ma andrebbe accompagnata da un’ampia riflessione critica per cogliere, al di là del senso immediato, i limiti di visioni paradossali; nelle classi precedenti essa può risultare del tutto inopportuna. 

Proporre le canzoni a scuola è dunque un’operazione estremamente complessa, molto diversa dall’idea corrente di un’azione tutto sommato immediata e mirata a creare, come spesso si dice, un facile ponte tra scuola e quotidianità, tra bambini e insegnanti. Essa, come ogni azione formativa, richiede invece da parte di chi l’intraprende attenzione, competenza e profonda consapevolezza.

 

Paolo Somigli

Professore associato di Musicologia e Storia della Musica

Facoltà di Scienze della Formazione – Libera Università di Bolzano 

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