Meno isolati e più permeabili. Per un esercizio di autocritica

A proposito delle recenti disposizioni normative sull’insegnamento musicale nelle scuole italiane, due anni fa Luca Aversano denunciava «l’isolamento e l’impermeabilità di una disciplina concepita come esercizio pratico rispetto alle tradizioni didattico-pedagogiche delle altre materie» (Musica e scuola in Italia: le recenti disposizioni normative 1999-2019, «Musica Docta», IX, 2019, pp. 67-76). Come docente di pianoforte nella scuola media ad indirizzo musicale, provo a fare un esame autocritico. Continuo ad interrogarmi sulla responsabilità individuale del singolo docente rispetto a quell’isolamento e a quell’impermeabilità cui non è solo costretto da politiche culturali che, dall’alto, lo pongono in quella condizione. Un docente di strumento si isola quando, sua sponte, pensa ancora di occuparsi solo di una formazione “tecnico-pratica”, orgoglioso di possederne una chiave di accesso sconosciuta ai più – e a molti dei suoi diretti colleghi di corso –, legittimato, magari, dalla perpetuazione del modello didattico che ha caratterizzato il proprio percorso di studi, senza percepirne l’obsolescenza. È isolato quando organizza il proprio bravo “programma” senza provare a dialogare con le altre discipline per tentare di proporre almeno segmenti didattici che si intersechino su questioni comuni. È impermeabile quando non si incuriosisce del dibattito che si accende in altri àmbiti disciplinari o su temi generali della scuola che potrebbero riguardarlo, eccome. Prendiamo, per esempio, il tema dell’“eccellenza”, tanto abusato nel linguaggio scolastico dei nostri tempi. Subìto come slogan fuori controllo, va spesso a titillare la proiezione di istanze competitive sugli allievi e incita il docente di strumento musicale a spingere l’acceleratore sulle prestazioni di alcuni più dotati. Credo sia opportuno accogliere sia il monito di Giovanni Floris, «Basta con l’eccellenza. […] Prima concentriamoci sulla normalità» (Ultimo banco, Milano, Solferino, 2018, p. 121), sia le riflessioni di Maurizio Muraglia che gli fa eco, denunciando quanto lo stereotipo della valorizzazione delle eccellenze «rischi di contenere la nobile abdicazione al dovere repubblicano di alzare l’asticella della normalità. La cultura di un popolo, infatti, si vede proprio dall’asticella della normalità. Che se è troppo bassa rischia di fare proliferare presunte eccellenze» («Insegnare. Rivista del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti», 17 luglio 2018).

Sarebbe forse più fecondo se, anziché esibire la nostra “buona pratica” con alcuni successi di vetrina, ci dedicassimo al più silenzioso e onesto artigianato che mira ad “alzare l’asticella della normalità” favorendo per tutti un approccio allo strumento che sia sereno e consapevole, che esplori l’esperienza circolare del gesto in rapporto alla sonorità, chiamando in causa la propriocezione e la riflessione; se ci preoccupassimo di nutrire di continuo l’esercizio dell’ascolto e dell’analisi, individuando sempre le minime “unità di senso” che, utilissime nella ricostruzione mentale della mappa del brano, lo diventano anche nell’organizzazione di un più efficace metodo di studio; se ci sottraessimo all’assillo delle scadenze di saggi, concorsi e concerti, a favore di un fisiologico e maturo tempo di apprendimento, che è personale e, soprattutto lento: lo ha scritto anche per noi, con pacata eleganza, Lamberto Maffei nel suo Elogio della lentezza(Bologna, Il Mulino, 2014). Potremo favorire così una vera fenomenologia dell’unità corpo-mente, ciascuno per quel che può dare, in una scuola in cui il “merito” consista – come dovrebbe essere – nella distanza che per ogni alunno si misura rispetto alla condizione di partenza, il che legittimerebbe appieno l’inserimento della nostra disciplina nel curricolo formativo della scuola dell’obbligo, indipendentemente dal fatto che stiamo o no formando futuri musicisti professionisti.

Perché, se invece fosse così e qualche collega preferisse la citazione di una voce autorevole in un settore di ricerca scientifica più strettamente disciplinare, vorrei ricordare, tra gli altri, quanto scrive sul tema dello sviluppo delle eccellenze nella performance John A. Sloboda; il quale riferisce che la motivazione allo studio nella fase iniziale dell’apprendimento strumentale è strettamente connessa alla ricchezza e piacevolezza delle esperienze di ascolto; sottolinea l’importanza del godimento dell’esperienza esecutiva; riferisce che, statisticamente, i segnali della prosecuzione professionale di un percorso formalizzato di istruzione in ambito strumentale si palesano cinque-sei anni dopo il suo inizio (Music Performance: Expression and the Development of Excellence, in Musical Perceptions, Oxford, OUP, 1994, pp. 152-169). Procediamo con calma, dunque, meno isolati e più permeabili, anche perché spesso abbandonati a noi stessi per la formazione specifica; questa sì un’altra vergogna del nostro sistema scolastico, che ha molto pasticciato, quando non rinunciato del tutto ad intervenire, sia nel settore del reclutamento sia, appunto, in quello della formazione in itineredei docenti di strumento musicale.

 

Anna Quaranta

Docente di ruolo di Pianoforte

Istituto Comprensivo N.2, San Lazzaro di Savena (Bologna)

 

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