Ad Alberto E. Colla

Per un giovane compositore di oggi muovere i primi passi nella scrittura musicale significa confrontarsi con stili e linguaggi storicamente lontani, ma in realtà concettualmente molto vicini. Sono convinto, infatti, che il compositore odierno si trovi perfettamente equidistante da esperienze molto differenti. Quando scrivo musica immagino di trovarmi al centro di una stanza circolare con innumerevoli porte, ciascuna delle quali mi permette di avere accesso a tecniche e linguaggi musicali eterogenei.

Il musicista del passato aveva a propria disposizione un ridotto numero di fonti con cui rapportarsi, mentre chi compone oggi può approfittare della consultazione di trattati e partiture di ogni epoca, grazie in particolare alle potenzialità offerte da Internet e YouTube, sorgenti inesauribili di ogni tipo di ascolto e scoperta, dalla polifonia medievale alla poliritmia etnica, dal contrappunto palestriniano alla micropolifonia. La facilità con cui è oggi possibile reperire le informazioni fa sì che i compositori viventi abbiamo a loro disposizione una vasta quantità di documenti con i quali confrontarsi.

Tuttavia, ciò nasconde un lato oscuro: sebbene resti sempre viva la vena poetica che ogni compositore possiede in modo individuale e che lo differenzia da tutti gli altri, la Musica d’arte contemporanea si sta progressivamente “globalizzando”, perdendo forse quel quid di originalità legato al contesto culturale in cui essa viene concepita.

Alla luce di queste riflessioni, sto esplorando il concetto di ipertematismo che implica la costruzione di composizioni a polittico, i cui pannelli, in successione serrata e febbrile senza soluzione di continuità, sono accomunati dalla presenza di un’unica matrice tematica, espressa di volta in volta attraverso linguaggi che, seppur cronologicamente distanti fra loro, vengono restituiti all’ascoltatore attraverso un’unica lente.

Credo pertanto che oggi ogni compositore possa sentirsi libero di attingere a differenti contesti teorico-musicali oltre che storico-culturali. Il compositore non dovrebbe quindi essere più legato ad un’unica precisa ideologia, bensì sentirsi libero di attingere alle varie teorie compositive e concezioni sonore – da quelle storiche, apparentemente a volte molto distanti, a quelle più recenti – e affidarle all’orecchio del fruitore attraverso il filtro della propria soggettività.

Ritengo infatti che quello in cui viviamo possa essere considerato il secolo della sintesi, piuttosto che della chimerica ricerca di ciò che ancora non è stato scritto. Questo non vuol dire rinunciare alla ricerca e all’originalità personale, ma anzi il contrario: è proprio in questo sincretismo ipertematico, pienamente capace di accogliere e riunire svariati fenomeni sonori e storico-artistici e al tempo stesso di dar conto della personalità dell’autore, che risiede la vera sfida del comporre oggi.

Marco Infantino
M.A. in Composition and Music Theory
Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano

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