Le incudini di Pitagora. Una breve riflessione sulla statistica della musica

Un illustre statistico del passato racconta che nel Manuale di Armonica di Nicomaco da Gerasa, un matematico del secondo secolo d.C., si narra il curioso episodio che avrebbe suggerito a Pitagora di formalizzare alcune proporzioni matematiche che regolano il suono [Giamblico di Calcide (III sec. d.C.), De vita pitagorica liber, ed. Nauck, Pietroburgo, 1884; Nicomaco di Gerasa (I-II sec. d.C.), Introductio aritmetica, ed. a cura di R. Hoche, Lipsia, 1866]. L’episodio è stato più volte riportato nei secoli, da Quintiliano e Boezio ad oggi, diventando quasi leggendario, ma al di là degli aspetti aneddotici, è un fatto che Pitagora (570-495 circa a.C.) ci ha lasciato gli elementi fondanti delle successioni seriali che sono alla base delle medie statistiche. Pitagora e i Pitagorici trovavano nelle proporzioni numeriche l’essenza del mondo, di un accordo universale che si traduce nell’armonia dei corpi celesti come nell’armonia dei suoni. Non è proprio così, anche se tutti questi fenomeni si esprimono in leggi fisiche regolate da espressioni matematiche.

Ma torniamo al racconto che ci ha tramandato Nicomaco, non sappiamo quanto veritiero perché riporta fatti accaduti parecchi secoli prima, un racconto certamente mediato dall’impronta filosofica empiricista del narratore.

Questa è la suggestiva narrazione di Nicomaco che vede Pitagora protagonista:

«27. Un giorno ch’egli passeggiava abbandonandosi completamente alle sue riflessioni e ai pensieri che gli suggerivano le sue combinazioni (numeriche), cercando se egli non potesse immaginare un soccorso per l’orecchio, sicuro e privo di errore, come la vista lo possiede nel compasso e nella riga, ovvero nella diottra, e il tatto nella bilancia o nella invenzione delle misure, si trovò a passare, per pura coincidenza provvidenziale, davanti a una fucina di fabbri, e sentì molto distintamente dei martelli di ferro che battevano sull’incudine e davano, mescolati, dei suoni perfettamente consonanti fra loro, eccettuata una sola coppia. Egli riconobbe, fra questi suoni, la consonanza di diapason (ottava), diapente (quinta) e diatessaron (quarta). Quanto all’intervallo intermedio, fra quarta e quinta, s’accorse che era dissonante per sé stesso, ma, d’altra parte, complementare della più grande di queste due consonanze».

«28. Pieno di gioia, entrò nell’officina, come se un dio assecondasse il suo intento e, per mezzo di esperienze variate, dopo aver riconosciuto che la differenza di peso causava la differenza di suono, e non lo sforzo dei fabbri, né la forma dei martelli, né lo spostamento del ferro ch’essi battevano, misurò con gran cura il peso dei martelli e la loro forza impulsiva, trovandola perfettamente identica, e poi se ne tornò a casa».

«29. Fissò un chiodo unico nell’angolo formato da due muri, per evitare che vi fosse anche sotto questo aspetto la minima differenza, o che in un modo qualunque la pluralità dei chiodi, di cui ognuno aveva la sua materia, rendesse sospetta l’esperienza. Egli sospese a questi chiodi quattro corde di sostanza simile e simili per il numero dei capi, per lo spessore, per la torsione e fece sopportare a ciascuna un peso fissato all’estremo inferiore. Inoltre egli rese le corde di lunghezza in tutto eguale, poi, colpendo insieme le corde a due a due, riconobbe rispettivamente le dette consonanze, che variavano per ciascuna coppia di corde» [M. Boldrini, Zibaldone, Istituto Editoriale Cisalpino di Varese, 1948. Il brano di Nicomaco fu tradotto e rivisto linguisticamente per renderlo accessibile ai lettori].

Alla domanda: cosa succede se si pizzica una corda di lunghezza l cui corrisponde una frequenza f? Pitagora avrebbe forse risposto: pizzicando la corda a l/2, la corda vibra a una frequenza pari a 2f. Pizzicandola a l/3 essa vibra a 3f. E così via…

Non vale la pena di soffermarsi sulla veridicità di questa narrazione, che ha il pregio di farci vivere uno scorcio di antica scienza come fosse una favola. Lo spirito sperimentale era completamente estraneo alla speculazione pitagorica, che era puramente numerica, e non sapremo mai in che modo il suono delle incudini possa aver suggerito al grande filosofo matematico quella progressione numerica che, grazie a questa storia, viene chiamata dagli statistici appunto “armonica”. E non fu certo decisivo il peso di quei martelli troppo rudimentali a suggerire quelle proporzioni, che divennero palesi grazie alle osservazioni portate avanti, in tempi molto più tardi, dagli antichi Greci sulla tensione e la lunghezza delle corde, quando gli strumenti a corde erano già divenuti oggetti raffinati. Ed è quindi molto probabile che siano stati proprio i Greci a tradurre sperimentalmente l’intuizione logico-matematica di Pitagora.

È certo però che furono i Pitagorici a rimandarci la proporzione (armonica) (ab):(bc) = a:c, che identifica una progressione dei reciproci di ragione costante uguale a b, con b = 2/(1/a + 1/c).

Proprio per questo, non dobbiamo sorprenderci se gli uomini che quasi tremila anni fa si accorsero con stupore della corrispondenza tra accordi musicali e rapporti numerici si entusiasmassero «fino a credere di aver trovato una chiave per leggere tutti gli enigmi del mondo».

Che cosa ha davvero sentito e visto Pitagora non ha molta importanza, non vogliamo però rinunciare a includere l’affascinante leggenda dei fabbri nell’epica della scienza.

Paola Monari
Professore emerito, Università di Bologna
Socia dell’Accademia delle Scienze di Bologna

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