XII Colloquio di Musicologia de «Il Saggiatore musicale»
Due Tavole rotonde su
La didattica della Storia della musica*
Bologna, 21-22 novembre 2008.

Quali devono essere i contenuti e gli obiettivi della Didattica della Storia della musica? quali i metodi e le modalità di trasmissione del sapere musicale? Come affrontare la questione del ‘canone’? che valore esso assume nei diversi approcci didattici?

Queste le domande centrali poste dalle due relazioni di base – un dittico coerente, presentato da Andrea Chegai (Siena/Arezzo) e Paolo Russo (Parma) – in occasione delle due tavole rotonde sulla Didattica della storia della musica svolte a Bologna nel XII Colloquio di Musicologia del «Saggiatore musicale». La pluralità di approcci e di soluzioni prospettate rendono invero arduo dare una sintesi delle varie posizioni; si preferisce dunque, anche per rispettare la ricchezza dei commenti e delle discussioni, riportare in breve in due resoconti i punti di vista espressi da ciascun relatore.

Tavola rotonda I
Da una riflessione sul valore disciplinare della Didattica della Storia della musica, e su come essa possa contribuire alla formazione di un’identità civile e consapevole dello studente-cittadino, prende le mosse la prima relazione di base, su cui sono stati invitati a intervenire Lorenzo Bianconi (Bologna), Juan José Carreras (Saragozza), Iain Fenlon (Cambridge), Francesco Luisi (Parma) e Talia Pecker Berio (Siena). La tavola rotonda ha toccato i seguenti punti nodali: la crisi della storia, donde la necessità di alimentare nei discenti il senso storico nei confronti della musica; l’elaborazione di un’efficace didattica dell’ascolto; l’urgenza di elaborare un approccio didattico che scavalchi il nozionismo spesso ancora in auge in tante scuole; l’esigenza di definire una scala di priorità dei fatti storico-musicali e delle opere tràdite.

Partendo da un caso specifico, ovvero l’insegnamento della notazione mensurale, Francesco Luisi pone una questione che riguarda più in generale la necessità d’imparare a interrogare un’opera musicale: più che insegnare a trascrivere in notazione moderna la notazione mensurale occorrerebbe insegnare a interrogare il testo nella sua forma originaria. Solo così sarà salvaguardato il valore semiografico del testo e si potrà arrivare a una reale correlazione tra storia e musica, oggi fortemente compromessa dalla banalizzazione della notazione antica.

Iain Fenlon tratta la vessata questione del ‘canone’, con particolare riguardo allo status della disciplina nelle università inglesi, e pone l’accento sulla necessità di ricostruire il contesto, le immagini, la mentalità implicita nelle opere musicali. Giova inoltre compiere un’operazione più ampia, che miri alla «contestualizzazione del contesto» di un dato repertorio: non importa tanto far confrontare gli studenti con un insieme precostituito di opere, quanto porre loro domande che stimolino una riflessione sul proprio modo di essere e di rapportarsi ad una cultura condivisa.

Per Lorenzo Bianconi, al canone va riconosciuto un ruolo di guida, disperatamente necessario al viaggiatore che nel deserto culturale prodotto dai media elettronici rischia di smarrire l’orientamento. Se manca un bagaglio durevole e persistente di ascolti e letture, se addirittura quattro su dieci candidati al Dottorato di ricerca in Musicologia non riconoscono l’ouverture del Don Giovanni di Mozart, è evidente che c’è un urgente bisogno di ristabilire delle priorità, di ricostituire un tesoretto, un patrimonio sia pur smilzo. Se vuol essere efficace, la Didattica della Storia della musica farebbe poi bene a puntare sul riconoscimento dei modelli formali e artistici, a interrogare il “potenziale di futuro” racchiuso nell’opera d’arte, collocandola – secondo un fortunato slogan dello storico Reinhart Koselleck – nella prospettiva del «futuro passato» (vergangene Zukunft). Questa prospettiva coincide peraltro – ed è l’ultima riflessione di Bianconi – col concetto di ‘genere’ (Gattung), l’alveo in cui si riconoscono le forme di produzione, le tecniche artistiche, i sistemi simbolici, le aspettative dei destinatari, insomma la dimensione storica e sociale dell’opera d’arte musicale. Nella visione didattica che traspare da molti manuali la categoria di ‘genere’ appare spesso svilita, surrogata dal concetto essenzialmente merceologico di ‘repertorio’, un concetto che enfatizza il ruolo del soggetto – il docente o il discente che ad libitum “reperisce” questo o quel brano – rispetto alla realtà storicamente concretata delle opere, delle tradizioni, delle tecniche, delle funzioni sociali.

Juan José Carreras trasferisce la discussione su un piano più strettamente politico e offre una riflessione sulla crisi dell’insegnamento della Storia della musica nelle università spagnole, che va di pari passo con la dislocazione dei contesti storici: l’uso del video e dell’ascolto indifferenziato hanno sostituito affatto il concetto di ‘storia’ e di ‘cultura’. Sola àncora di salvataggio, e fine irrinunciabile della disciplina, per Carreras, è l’interdisciplinarità.

Talia Pecker Berio sottolinea infine l’importanza di una prospettiva didattica che intrecci con acume e pertinenza Storia e Musica e – secondo quanto suggerisce anche Leo Treitler in Music and the Historical Imagination – coniughi in una visione sincronica il giudizio estetico con la necessità di storicizzare e di capire lo stile di un’epoca.

Il successivo dibattito, che vedeva come discussants Mario Carrozzo (Campobasso) e Angela Romagnoli (Pavia/Cremona), si è focalizzato in particolare sulla Didattica dell’ascolto. La preoccupazione per la crescente diseducazione all’ascolto fin dalla Scuola primaria rimette al centro della riflessione il rapporto tra musica d’arte e musica di consumo, la mancata contestualizzazione dell’ascolto e, di conseguenza, del rapporto che intercorre tra la questione del ‘canone’ e la necessità – da alcuni reputata irrinunciabile – di tener conto delle abitudini d’ascolto consuetudinarie degli studenti: alcuni intervenuti hanno sottolineato che la musica di consumo non si può considerare solo alla stregua di un genere musicale tra tanti, bensì come qualcosa di consustanziato nell’immaginario dei discenti. In questo senso, l’atto educativo si pone anche come un atto politico tramite il quale far riappropriare i ragazzi di un’individualità oggi seriamente messa in crisi e destrutturata.

Tavola rotonda II
La seconda relazione di base pone alcuni importanti interrogativi circa i prerequisiti culturali, gli strumenti e i metodi di una Didattica della Storia della musica. A rispondere a queste sollecitazioni sono stati chiamati Paolo Fabbri (Ferrara), Pier Paolo Polzonetti (Notre Dame), Raffaele Pozzi (Roma), Manfred Hermann Schmid (Tübingen) e Philippe Vendrix (Tours).

Paolo Fabbri ragiona sulla necessità dei manuali – almeno per il Liceo e per il triennio universitario di primo livello – e su come strutturarli. Emerge l’esigenza di progettare un manuale per temi (“generi musicali”, “organologia”, “i luoghi della musica”, ecc.), che offra: un’esposizione cronologica; un’aggregazione attorno a temi specifici (fatti storici o storia delle tecniche); l’apertura di “finestre” di approfondimento su casi esemplari; la comparazione di opere (il Barbiere di Paisiello e quello di Rossini, poniamo); la storia di città e istituzioni legate alla musica; una selezione di brani considerati rappresentativi.

Un esempio di didattica applicata è quello riportato da Polzonetti, il quale – a partire dalla propria esperienza di docente in un’università statunitense – ritiene necessario, per ideare percorsi formativi efficaci, mettere a frutto l’interattività che i ragazzi sperimentano ogni giorno maneggiando a diversi livelli svariate apparecchiature tecnologiche.

Anche Raffaele Pozzi riflette sugli strumenti della Didattica, in particolare nella formazione musicale di base. Partendo dai dati certo non entusiasmanti dell’indagine La musica e gli adolescenti (G. Gasperoni, L. Marconi e M. Santoro, 2004), Pozzi sottolinea che occorre ripensare alla radice la didattica e le sue tecniche, e dunque superare lo stereotipo di una sua subalternità rispetto alla disciplina musicologica. Oggi la musicologia storica avrebbe appunto il compito di ripensare strumenti didattici operativi, di cui gli insegnanti lamentano la mancanza, e di attivare una interdisciplinarità reale e virtuosa. Una riflessione più generale sui fondamenti della disciplina propone Manfred Hermann Schmid, che mette a fuoco una serie di difficoltà intrinseche nell’insegnamento della Storia della musica, a partire dall’impossibilità di “ascoltare storicamente” un’opera d’arte musicale e dalla difficoltà di trasmettere non solo i contesti nei quali essa nasce e matura, ma anche il lessico che ogni compositore utilizza. Problematiche si rivelano altresì la periodizzazione della Storia della musica, supinamente ricalcata su altre discipline (in particolare la Storia dell’arte), nonché la comprensione di brani musicali da parte di alunni cui manchi un’adeguata alfabetizzazione musicale.

Sullo specifico problema del ruolo che spetta all’edizione critica nell’insegnamento della Storia della musica interviene Philippe Vendrix, che sottolinea come assai di rado i corsi di notazione e di filologia musicale siano concepiti in parallelo con i corsi di storia: ne risulta una dannosa separatezza tra il mestiere dell’“editore critico” e quello del musicologo. Donde una Didattica della Storia della musica che tiene assai poco in conto i problemi notazionali e la storia materiale delle fonti.

Gran parte dei commenti seguiti ai cinque interventi – sollecitati dai discussants Elita Maule (Bolzano) e Daniele Sabaino (Pavia/Cremona) – ha affrontato il problema della strutturazione e dei contenuti di un manuale efficace e funzionale per i diversi gradi d’istruzione, che tuttavia in nessun caso può surrogare la funzione mediatrice dell’insegnante. Anche la questione dell’interdisciplinarità si è imposta con notevole attenzione, sollecitando un’articolata discussione su come salvaguardare le specificità della disciplina e come rapportarsi con le altre, fermo restando che l’interdisciplinarità può trovare un’applicazione efficace solo muovendo da una profonda conoscenza dei contenuti, linguaggi e metodi della propria disciplina.

Antonella D’Ovidio

 

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* Le relazioni di base delle due Tavole rotonde si leggono all’indirizzo
<https://www.saggiatoremusicale.it/attivita/2008/colloquio.php>
Il programma delle due Tavole rotonde è disponibile all’indirizzo
<https://www.saggiatoremusicale.it/attivita/2008/colloquio_prog.php>