Canto, ricerca, formazione: il caso di ITER Research Ensemble

Se lo scorso 27 aprile vi foste aggirati per il centro storico di Mantova, tra monumenti rinascimentali e bancarelle pullulanti di fiori, vi sareste imbattuti nella Basilica di Santa Barbara. Affacciandovi al portone avreste visto ed udito una ventina di giovani coristi cantare musiche di luoghi ed epoche differenti. La curiosità di ascoltare un concerto nel Tempio gonzaghesco vi avrebbe attirato al suo interno, e mentre una voce registrata diffusa per tutta la basilica vi narrava la storia di antiche melodie, voi avreste dato una lettura al programma di sala.[1] Le particolari scelte musicali vi avrebbero permesso di lì a poco di partecipare ad un vero e proprio viaggio. Ma chi ha ideato questo programma? Un gruppo che nella traduzione latina di “viaggio” ha deciso di identificarsi: ITER Research Ensemble.

Per meglio conoscere la natura di questo gruppo, avreste letto la breve bio riportata nell’ultima pagina del programma, e avreste scoperto come la sua attività si basi su un chiaro obiettivo: “fare ricerca sulla musica che si canta, e cantare la musica su cui si fa ricerca”. Nulla di nuovo: le riflessioni connesse all’artistic research sono ormai da anni al centro di numerosi studi. Vi avrebbe però incuriosito la nascita del gruppo: avreste infatti letto di come le radici di ITER siano da individuare nel Coro Facoltà di Musicologia, il coro di studenti nato in seno al Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia. Si tratta dunque di aspiranti musicologi che nel 2022, prossimi alla conclusione dei loro studi, hanno deciso di fondere un duplice percorso: pratica corale e ricerca musicologica.

Avreste goduto il concerto, e, incuriositi, ne avreste letto il programma, così da scorgere in nota un tratto fondamentale: ogni singolo brano della performance è frutto delle ricerche dei membri di ITER. Questo gruppo ha dunque potenziale didattico e formativo: i giovani che ne fanno parte hanno la possibilità di confrontarsi con colleghi del loro stesso livello, ma con interessi scientifici differenti, che spaziano dal canto liturgico al Novecento storico, alla drammaturgia musicale fino alla produzione di fixed media. Un gruppo eterogeneo in cui “imparare dall’altro” è l’ingranaggio principale di tutto il lavoro, e dove «cantare è un modo per testare, ascoltare, dubitare di quel che si è pensato (o cantato)».[2] La novità di ITER Research Ensemble è dunque legata alla sua natura (per)formativa, al suo essere un luogo in cui giovani musicologi-artisti si confrontano, apprendono e ragionano sulle loro voci, creando prodotti scientifici ed artistici di buon livello ed utili per una carriera professionale – sia essa quella accademica, performativa o di ricerca artistica.

Alla fine del concerto avreste sentito risuonare il “Sicut Cervus” palestriniano, ma dal sapore novecentesco perché eseguito su partiture annotate nella metà del secolo scorso. E sull’Amen conclusivo avreste pienamente compreso che l’esperienza artistica nella quale eravate coinvolti non era un semplice concerto, ma il frutto più complesso di un’esperienza scientifica, corale ed umana ideata nella sua totalità da giovani nel pieno del loro ITER formativo.

Anna Martini
Università di Bologna
Scuola di specializzazione in Beni musicali


[1] Per visionarlo: https://iterensemble.com/eventi/canti-luoghi-fonti-microstorie-di-polifonia-vocale-sacra/
[2] Rebecca Favale, “Ricerca e pratica: due anime per un coro. L’esperienza di ITER Research Ensemble”, Choraliter 73 (2024), p. 35.