Diciottesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Bologna, 21-23 novembre 2014

 

Abstracts

Alessandro Mastropietro (Catania)
La “Descrizione dell’Isola Ferdinandea” di Pennisi: un’allegoria teatral-musicale

 

La Descrizione dell’Isola Ferdinandea, secondo numero nel catalogo di teatro musicale di Francesco Pennisi (1934-2000),  ha goduto (grazie al soggetto rinviante a uno straordinario evento storico-geologico, l’emersione e il successivo inabissamento di un’isola vulcanica – appetita da vari stati – al largo del Canale di Sicilia nel 1831, e alla sua più o meno esplicita valenza allegorica) di una minima attenzione critica, comunque maggiore in confronto alle poco fortunate vicende esecutive, limitate alla sola première romana del 1983. Il lavoro è peraltro centrale (anche in posizione cronologica) nella produzione creativa di Pennisi, che al suo ‘testo complesso’ contribuì elaborando il libretto e disegnando le scene per la première, richiamandole parzialmente con disegni nella partitura: lo studio relativo a queste fonti ha permesso di approfondire alcuni aspetti di genesi ed estetica dell’opera, ispirata all’autore da un articolo di Sciascia sull’episodio storico. L’utilizzo nel libretto di versi del cartiglio di Villa Palagonia attribuiti al suo committente, don Ferdinando Gravina junior, rimanda ancora a Sciascia (che alla celebre ‘villa dei mostri’ dedicò un capitolo di Cruciverba) e ai suoi ragionamenti sulla specifica condizione insulare della Sicilia, da intendersi come metafora e da comprendersi in una dimensione fantastica-onirica, elementi dichiaratamente assunti da Pennisi nella Descrizione; d’altro canto, proprio i riferimenti alla nobiliare Villa Palagonia, alla rappresentazione della famiglia reale e alle residenze nobiliari della famiglia Pennisi, puntano verso Tomasi e la lettura antropologica dell’insularità siciliana, come ‘cupio dissolvi’ ormai connaturato a una condizione storica endemicamente crepuscolare, particolarmente acuta – quanto a consapevolezza – nelle élites siciliane. Pennisi inclina tali temi verso una rilettura che è insieme metafisica e stilistico-linguistica: la caduta, lo sprofondamento nel nulla, superano la condizione storica in un’impermanenza categorica del reale, mentre – sul piano della scrittura – la cangiante cesellatura timbrica e l’arabesco smaterializzano gli orditi sonori, rendendoli umbratili e inafferrabili. La tendenza a manipolare ironicamente o a ricombinare i generi (il titolo dell’opera è quello di un’autentica relazione topografica, servita in effetti quale base testuale però declinata in modo fantastico; la rappresentazione è ‘al quadrato’; alcuni personaggi sono dichiarate ‘allegorie’ nello spirito di un oratorio o una cantata morale) può rinviare di nuovo alla letteratura di Sciascia, ma più immediatamente anche alla produzione postbellica di nuovo teatro musicale allergica alle forme/formule drammaturgiche tradizionali.