in collaborazione col 
Dipartimento delle Arti Alma Mater Studiorum — Università di Bologna  

Ventitreesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Abstracts

 


ILARIA CONTESOTTO
 (Bologna)

Un caso di censura nei libretti d’opera: “Il demone amante” di Matteo Noris (1686)

Il demone amante, ovvero Giugurta di Matteo Noris, messo in scena nel 1686 al Teatro S. Angelo di Venezia su musiche perdute di Carlo Francesco Pollarolo, rappresenta un interessante caso di studio nell’ambito delle ricerche sulla censura nei libretti d’opera veneziani della seconda metà del Seicento, sino ad ora solo sporadicamente coltivate. Sottoposto al giudizio degli Esecutori contro la Bestemmia, necessitò, prima di essere messo in scena, di una pronta riscrittura che rese necessaria una riedizione del libretto poco prima della première.
Nel 1686, anno in cui venne rappresentato, l’iter per la stampa dei libretti faceva riferimento al Decreto del Senato del 24 settembre 1653, secondo il quale, per stampe in formato compatibile con quello dei libretti d’opera, per i matricolati veneziani era necessario raccogliere la fede dell’Inquisitore e la sottoscrizione del Revisore e del Segretario degli Esecutori contro la Bestemmia, senza l’obbligo di ottenere le firme dei Riformatori allo Studio di Padova. Il 7 gennaio del 1685, secondo quanto riportato dalle terminazioni degli Esecutori sopravvissute presso l’Archivio di Stato di Venezia, a rispondere delle improprietà del Demone amante si presentò, per nome degli interessati (non menzionati) un fiduciario, Gioan Batta Zorzi, notaio al servizio della Serenissima per oltre cinquant’anni e fiduciario dell’impresario Francesco Santurini, nonché delle famiglie Marcello e Capello. Firmatari del processo furono Geronimo Basadonna, Giulio Giustinian e Zaccaria Vallaresso, già Riformatori, con una lunga carriera politica esercitata presso la Repubblica di Venezia. Costoro non avevano la facoltà di modificare il libretto nei passi che risultassero impropri in materia religiosa, perciò furono costretti a interpellare il parere del Padre Inquisitore; l’incarico fu affidato a un personaggio controverso, Giovanni Tommaso Rovetta (1632-1719), un domenicano in conflitto con la Serenissima, che fu chiamato in causa trattandosi di «punti rilevanti d’improprietà in materia di religione e fu invitato a riferire li proprij sentimenti».
Dalla prima versione del libretto risulterà estromesso il personaggio del Sacerdote, il quale (nell’Atto II, scena XVI) recita un esorcismo, e risulteranno altresì tagliate tutte le scene in cui il Demone viene esaltato o descritto in maniera accattivante (per esempio nell’Atto I, scena III, nella descrizione della nutrice Lesbia). Il testo tocca inoltre il tema filosofico, caro all’Accademia degli Incogniti e di riflesso a Cesare Cremonini, della mortalità dell’anima, con l’uomo definito «il mortal di Dio fattura» (Atto I, scena XIV), e il tema altrettanto rilevante delle relazioni tra uomo politico e passioni, con Giugurta che, per amore delle figlie, sacrificherà la ragion di stato (Atto III, scena IV).