Emanuele d’Angelo (Bari)
Il ‘Mefistofele’ abortito tra i fischi scaligeri e gli applausi bolognesi

Tra il programmato fiasco milanese del 1868 e l’applaudito rifacimento andato in scena a Bologna nel 1875, Arrigo Boito pensa e lavora a un altro Mefistofele, abbozzando un’opera profondamente rimeditata, riformulata, di cui nulla resta se non alcuni appunti e indizi: una rielaborazione abortita. Alla base dell’operazione c’è certo una riflessione sull’invito degli amici (Ferrari e Fortis in primis) a tenere presenti, sia pur con oculata misura e «senza abiurare i suoi principi artistici», le esigenze del pubblico, inevitabilmente legato alla tradizione. L’ipotizzato nuovo profilo dell’opera, peraltro, non doveva apparire sufficientemente addolcito rispetto alla prima irritante ‘scandalosa’ versione. Quello che emerge è, infatti, una sorta di autonomo stato intermedio tra il Mefistofele elitario fischiato alla Scala e quello popolare che entrerà in repertorio. Invece di limitarsi subito a una ‘cura dimagrante’ ad usum vulgi, Boito ripensa ogni scena tornando all’ipotesto, al Faust goethiano, nella prospettiva di un’eventuale radicale reinvenzione, sia dei versi sia della musica, non curandosi, a quanto pare, neppure dell’approvazione riservata ad alcune scene (il prologo, il giardino e il sabba classico) accolte dagli applausi del pubblico scaligero. Boito lavora su una nuova copia (stampata nel 1869) della traduzione francese del capolavoro di Goethe firmata da Henry Blaze, già suo testo di riferimento per il libretto del primo Mefistofele, sottolineando, annotando, e finanche strappando intere scene, prese forse in considerazione in un primo momento e poi scartate. L’autore immagina un’opera ancora in un prologo e cinque atti, ma senza la scena del palazzo imperiale e l’intermezzo sinfonico, in buona parte basata sulle vicende di Margherita e con nuovi approfondimenti psicologici. L’operazione, fin troppo complessa e impegnativa, evidentemente comportava il rischio di essere recepita come una ritrattazione, un’abiura dell’opera milanese orgogliosamente difesa, e fu accantonata a vantaggio del rimaneggiamento-sfoltimento (carico di ironia) del 1875, quel nuovo Mefistofele che ottenne il plauso della detestata «boriosa ciurmaglia».