in collaborazione col 
Dipartimento delle Arti Alma Mater Studiorum — Università di Bologna  

Ventitreesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Abstracts

 


IRENE MARIA CARABA
 (Roma)

Abramo Basevi e la simmetria melodica nell’opera italiana

Abramo Basevi (Livorno, 1818 – Firenze, 1885) è da considerarsi uno dei personaggi chiave della vita musicale fiorentina e italiana negli anni 1850-1870. I primi studi sistematici che lo hanno riguardato risalgono agli anni ’90 del secolo scorso e si sono soffermati soprattutto sul suo Studio sulle opere di Giuseppe Verdi (pubblicato nel 1859), in relazione al termine «solita forma de’ duetti», che ancora oggi consente agli studiosi di definire la principale forma del numero all’intero dell’opera lirica ottocentesca (Powers 1987; Parker, 1997), e alla terminologia che Basevi coniò per recensire le opere verdiane (Roccatagliati, 1994).
A partire dai primi anni 2000, gli studi condotti da Jesse Rosenberg (in particolare in Abramo Basevi: A Music Critic in Search of a Context, 2002) sono stati importanti per tracciare un profilo più dettagliato di questo personaggio, e negli stessi anni i contributi di Giorgio Sanguinetti (Sanguinetti, 2000) e Andrea Chegai (Chegai, 2000) hanno fatto luce sugli aspetti teorici fondanti il ‘nuovo sistema di armonia’ ideato da Basevi.
Diversamente dai suddetti contributi, la presente relazione si sofferma sul dibattito giornalistico che Basevi intesse con Alberto Mazzuccato attorno al concetto di melodia all’indomani della rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano del Profeta di Meyerbeer, con l’obiettivo di approfondire uno tra gli aspetti più innovativi della critica baseviana: la denuncia all’abuso della simmetria (o della periodizzazione simmetrica) nell’opera italiana dell’Ottocento.
In un’epoca in cui i principali trattati italiani consideravano la «quadratura uno dei primi elementi di una bella melodia» (Geremia Vitali, 1850), Basevi contestò all’eccessiva regolarità fraseologica adottata dagli operisti italiani l’incapacità di esprimere i sentimenti dei personaggi delle loro opere e si dice meravigliato «quando noi Italiani, che soffriamo mal volentieri le tragedie francesi perché sono a versi rimati, ci mostriamo poi rigorosi tanto nelle proporzioni, che serbar debbono tra loro le frasette musicali destinate ad esprimere le passioni» (Il Profeta alla Scala di Milano, 7 giugno 1855).
Partendo dagli articoli dei due giornalisti, comparsi sulle Gazzette musicali di Firenze e di Milano tra il febbraio e il dicembre del 1855, la relazione si focalizza sull’argomentazione che Basevi addusse a favore del grand opéra del compositore tedesco, secondo la quale Meyerbeer, svincolandosi da un ‘canto periodato e simmetrico’ avrebbe ottenuto una maggiore aderenza alle ragioni del dramma, aprendo così la via ad un rinnovamento dei tagli e dei ritmi più in voga all’epoca nel melodramma italiano.