in collaborazione col 
Dipartimento delle Arti Alma Mater Studiorum — Università di Bologna  

Ventitreesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Abstracts

 


ALESSANDRO AVALLONE
 (Roma)

«Noi più grulli e men devoti»: metateatro ed estetica scapigliata nell’“Amleto” di Boito e Faccio

L’Amleto, tragedia lirica in quattro atti, è il primo libretto di Arrigo Boito, scritto per la musica dell’amico Franco Faccio. Un’opera emblematica, scarsamente considerata nei pochi studi relativi alla Scapigliatura musicale. Il testo, fortemente innovativo nelle scelte metriche e lessicali, si presenta come una fedele riduzione dell’originale shakespeariano, di cui conserva gli elementi sovrannaturali e i profondi interrogativi filosofici. La prima versione dell’opera andò in scena a Genova nel 1865, e si inserisce nella cosiddetta fase eroica della Scapigliatura.
Nella prima parte della relazione mi soffermo sulla scena metaoperistica presente nel secondo atto, finora mai studiata in dettaglio. L’operina, che intende far uscire allo scoperto l’usurpatore, innesca una contesa generazionale tra «vecchi» e «giovani», i quali si esprimono con giudizi opposti sulle qualità drammatiche e musicali dello spettacolo. Analizzando il play within the play dal punto di vista stilistico, musicale e teatrale, intendo evidenziare come questa scena serva a presentare una nuova estetica operistica, tutta da costruire in alternativa a quella coeva, considerata inefficace. La polemica dei «giovani spettatori» contro un vecchio modo di fare teatro, ricalca infatti le feroci critiche mosse da Boito alle forme chiuse del melodramma ottocentesco.
Nella seconda parte della relazione passo a considerazioni più generali, ponendo a confronto l’elaborazione boitiana di questa scena con l’originale. Diversi studiosi shakespeariani (Greg, Sibony, Cavell) hanno messo in evidenza l’importanza della pantomima che apre il momento metateatrale. Nel libretto sono assenti sia la pantomima che il personaggio di Fortebraccio, il principe norvegese che raccoglie l’eredità di Amleto. Queste assenze, a mio avviso non casuali, rendono ancora più stridente la solitudine del principe danese, che nel compiere la propria missione pervaso dal dubbio diventa un alter ego letterario del librettista. In questa scena cruciale emergono dunque tutte le difficoltà che il giovane Boito affrontò nel trasformare il suo pensiero tragico in una concreta alternativa estetica.