Nel luglio scorso partecipavo a una visita guidata al Museo GeoPaleontologico “Ardito Desio” di Rocca di Cave. Il piccolo borgo, nei pressi di Palestrina, si trova a mille metri d’altezza, su di un cucuzzolo da cui è possibile prendere, quasi in un unico sguardo, il grande cratere dei colli Albani, i monti Prenestini, la distesa della costa laziale. I geologi dell’Università Roma Tre, che curano l’allestimento della struttura, hanno illustrato ai visitatori la natura delle rocce. Fossili acquatici testimoniano come, milioni di anni fa, quelle pietre fossero sommerse dall’acqua. Le stratificazioni mostrano poi il plastico sovrapporsi di rocce più antiche a rocce più recenti, grazie alla qualità di una materia solo apparentemente rigida e statica. Di fronte al regime, alle pressioni del tempo, la pietra si rivela morbida, elastica, e in movimento continuo, sia pure invisibile all’occhio degli uomini.

Nel tornare a casa, ripensando allo spettacolo del sito geologico, mi è sovvenuta un’associazione con la natura del canone musicale, inteso come insieme delle composizioni eccellenti che costituiscono il nucleo del patrimonio musicale del passato recente e remoto. Anch’esso, in fondo, è roccia che si sedimenta e si stratifica in ragione di processi lunghi e impercettibili. Così, sempre in via di metafora, il tema di questa Goccia s’ispira all’immagine schubertiana del Lied Der Hirt auf dem Felsen (Il pastore sulla roccia): quale debba essere, cioè, la posizione dell’insegnante rispetto alle pietre canoniche della storia musicale. Se nelle discipline di lunga tradizione (letteratura arte filosofia ecc.) i termini del rapporto sono assolutamente chiari, nel senso che Dante Michelangelo Kant appaiono fondamenti cardinali dell’insegnamento scolastico, la questione è invece discussa nel campo dell’educazione musicale. Il docente deve basare il suo lavoro su autori e su composizioni che rientrano nel canone oppure ignorarlo e valersi di non importa quali brani? Se alcuni rivendicano le ragioni del canone in prospettiva didattica e pedagogica (cfr. «Il Saggiatore musicale», VIII, 2001, 1), altri ne criticano la staticità e il presunto passatismo.

A questi ultimi dedico la mia riflessione. La natura del canone non è sclerotica, e men che mai vòlta all’indietro: il canone non è fisso nel tempo, ma si trasforma col tempo. Poggiare su questa pietra è come poggiare sul divenire del mondo. Dalla sua altezza è possibile misurare valori, intuire direzioni, dischiudere orizzonti, scorgere nuovi luoghi della cultura. Di qui, grazie al sicuro fondamento costituito da musiche di riconosciuto rilievo estetico, storico e culturale, il docente potrà far risuonare lontana, verso il futuro, l’eco della sua voce.

Luca Aversano

Ricercatore

Università Roma Tre

Der Lehrer auf dem Felsen

Nel luglio scorso partecipavo a una visita guidata al Museo GeoPaleontologico “Ardito Desio” di Rocca di Cave. Il piccolo borgo, nei pressi di Palestrina, si trova a mille metri d’altezza, su di un cucuzzolo da cui è possibile prendere, quasi in un unico sguardo, il grande cratere dei colli Albani, i monti Prenestini, la distesa della costa laziale. I geologi dell’Università Roma Tre, che curano l’allestimento della struttura, hanno illustrato ai visitatori la natura delle rocce. Fossili acquatici testimoniano come, milioni di anni fa, quelle pietre fossero sommerse dall’acqua. Le stratificazioni mostrano poi il plastico sovrapporsi di rocce più antiche a rocce più recenti, grazie alla qualità di una materia solo apparentemente rigida e statica. Di fronte al regime, alle pressioni del tempo, la pietra si rivela morbida, elastica, e in movimento continuo, sia pure invisibile all’occhio degli uomini.

Nel tornare a casa, ripensando allo spettacolo del sito geologico, mi è sovvenuta un’associazione con la natura del canone musicale, inteso come insieme delle composizioni eccellenti che costituiscono il nucleo del patrimonio musicale del passato recente e remoto. Anch’esso, in fondo, è roccia che si sedimenta e si stratifica in ragione di processi lunghi e impercettibili. Così, sempre in via di metafora, il tema di questa Goccia s’ispira all’immagine schubertiana del Lied Der Hirt auf dem Felsen (Il pastore sulla roccia): quale debba essere, cioè, la posizione dell’insegnante rispetto alle pietre canoniche della storia musicale. Se nelle discipline di lunga tradizione (letteratura arte filosofia ecc.) i termini del rapporto sono assolutamente chiari, nel senso che Dante Michelangelo Kant appaiono fondamenti cardinali dell’insegnamento scolastico, la questione è invece discussa nel campo dell’educazione musicale. Il docente deve basare il suo lavoro su autori e su composizioni che rientrano nel canone oppure ignorarlo e valersi di non importa quali brani? Se alcuni rivendicano le ragioni del canone in prospettiva didattica e pedagogica (cfr. «Il Saggiatore musicale», VIII, 2001, 1), altri ne criticano la staticità e il presunto passatismo.

A questi ultimi dedico la mia riflessione. La natura del canone non è sclerotica, e men che mai vòlta all’indietro: il canone non è fisso nel tempo, ma si trasforma col tempo. Poggiare su questa pietra è come poggiare sul divenire del mondo. Dalla sua altezza è possibile misurare valori, intuire direzioni, dischiudere orizzonti, scorgere nuovi luoghi della cultura. Di qui, grazie al sicuro fondamento costituito da musiche di riconosciuto rilievo estetico, storico e culturale, il docente potrà far risuonare lontana, verso il futuro, l’eco della sua voce.

Luca Aversano

Ricercatore

Università Roma Tre

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