Diverso il sistema, diversa la musica

Trovo così tante cose buone nel sistema educativo italiano che non posso non commentare quello che mi sembra un vero problema, ossia la tendenza a vedere tutti i sistemi scolastici, anche di paesi molto diversi, come se fossero eguali. Semplicemente non lo sono. Non dobbiamo credere che si possano adottare per l’istruzione dei ragazzi negli Stati Uniti, ad esempio, gli stessi strumenti validi in Italia. (Parlo dei due sistemi che conosco meglio, ma sono sicuro che il problema si pone in termini analoghi anche per altri sistemi.)

Mi pronuncio su questo tema perché da anni collaboro con Musicom nell’allestire dei cofanetti (libro e disco) dedicati a opere liriche scelte tra quelle date alla Scala nell’anno precedente. Credo che abbiamo fatto cose davvero belle su opere diversissime, dall’Orfeo di Monteverdi ai Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc, passando per Rossini, Donizetti e soprattutto Mozart. Ora, quest’anno per la prima volta la Banca che sostiene queste pubblicazioni ha insistito perché i testi del cofanetto (Il flauto magico) venissero concepiti ad uso delle scuole italiane, non soltanto, ma venissero tradotti tali e quali in inglese per le scuole statunitensi. L’intento di far arrivare i nostri cofanetti anche ai giovani italiani mi sembra lodevole; molto meno plausibile, a mio giudizio, è che gli stessi prodotti possano passare da un sistema all’altro senza profondi adeguamenti.

Tante belle cose si potrebbero immaginare per una scuola italiana, dove esiste se non altro la possibilità (non certo l’obbligo) di studiare un’opera per diverse settimane, e dove i docenti sono persone di cultura e di buona volontà. Ma per gli Stati Uniti l’idea è addirittura fuorviante, o più semplicemente insensata. I giovani vengono a scuola senza avere la benché minima idea della musica classica. Abbiamo avuto tagli incisivi nell’istruzione artistica e musicale nelle scuole: in questo momento negli Stati Uniti si studia soltanto per superare gli esami di matematica e di lingua inglese; non resta poco o nulla per le discipline culturali. Per questi ed altri motivi molti genitori mettono i loro ragazzi e le loro ragazze in scuole private, anche religiose, o li affidano a insegnanti privati, tutte alternative accettabili in questo momento storico. Non lo dico per elogiare un sistema che non mi piace affatto, ma soltanto per dire che il tentativo di trapiantare delle idee, anche buone, da un sistema all’altro semplicemente non va.

Potrei fare molti altri esempi. La recente riforma universitaria italiana ha eliminato la figura del ricercatore di ruolo all’Università, riducendolo a una sorta di assistant professor all’americana, con un limite di cinque anni. Si può comprendere l’intento di non dispensare più posizioni di ricercatore a vita. E tuttavia negli Stati Uniti il sistema funziona perché numerose Università offrono la possibilità di una promozione interna al rango di associate professor con tenure (ossia a tempo indeterminato). Invece in Italia questa possibilità non esiste: occorre attendere il bando di un’abilitazione nazionale, a cui si presentano tantissimi candidati della più diversa preparazione; dopo di che gli abilitati debbono sempre ancora superare un concorso locale, in concorrenza con altri candidati abilitati. Al momento i concorsi scarseggiano, soprattutto nelle discipline umanistiche. Ma come si può credere di attingere soltanto questo o quell’elemento dal nostro sistema universitario e trapiantarlo in Italia? In questo modo i “nuovi” ricercatori ci rimettono il vantaggio del ruolo, senza nulla acquistare in cambio: ma come potranno svolgere ricerche di lunga lena?

Si capisce che i problemi in cui si dibatte l’Italia sono reali, e che il governo deve cercare soluzioni giuste in una congiuntura proibitiva. Ma prendere a modello le soluzioni di un altro paese senza accettare l’insieme del sistema è davvero problematico. Sarebbe di gran lunga preferibile che si elaborassero soluzioni adatte all’Italia (o agli Stati Uniti), anziché tentare di assumere quelle altrui senza comprenderne a fondo il funzionamento. Alla prova dei fatti, plaudo alle soluzioni italiane quando fanno vivere il meglio di questo paese.

Philip Gossett

Robert W. Reneker Distinguished Service Professor Emeritus

Department of Music

University of Chicago

 

Diverso il sistema, diversa la musica

Diverso il sistema, diversa la musica

Trovo così tante cose buone nel sistema educativo italiano che non posso non commentare quello che mi sembra un vero problema, ossia la tendenza a vedere tutti i sistemi scolastici, anche di paesi molto diversi, come se fossero eguali. Semplicemente non lo sono. Non dobbiamo credere che si possano adottare per l’istruzione dei ragazzi negli Stati Uniti, ad esempio, gli stessi strumenti validi in Italia. (Parlo dei due sistemi che conosco meglio, ma sono sicuro che il problema si pone in termini analoghi anche per altri sistemi.)

Mi pronuncio su questo tema perché da anni collaboro con Musicom nell’allestire dei cofanetti (libro e disco) dedicati a opere liriche scelte tra quelle date alla Scala nell’anno precedente. Credo che abbiamo fatto cose davvero belle su opere diversissime, dall’Orfeo di Monteverdi ai Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc, passando per Rossini, Donizetti e soprattutto Mozart. Ora, quest’anno per la prima volta la Banca che sostiene queste pubblicazioni ha insistito perché i testi del cofanetto (Il flauto magico) venissero concepiti ad uso delle scuole italiane, non soltanto, ma venissero tradotti tali e quali in inglese per le scuole statunitensi. L’intento di far arrivare i nostri cofanetti anche ai giovani italiani mi sembra lodevole; molto meno plausibile, a mio giudizio, è che gli stessi prodotti possano passare da un sistema all’altro senza profondi adeguamenti.

Tante belle cose si potrebbero immaginare per una scuola italiana, dove esiste se non altro la possibilità (non certo l’obbligo) di studiare un’opera per diverse settimane, e dove i docenti sono persone di cultura e di buona volontà. Ma per gli Stati Uniti l’idea è addirittura fuorviante, o più semplicemente insensata. I giovani vengono a scuola senza avere la benché minima idea della musica classica. Abbiamo avuto tagli incisivi nell’istruzione artistica e musicale nelle scuole: in questo momento negli Stati Uniti si studia soltanto per superare gli esami di matematica e di lingua inglese; non resta poco o nulla per le discipline culturali. Per questi ed altri motivi molti genitori mettono i loro ragazzi e le loro ragazze in scuole private, anche religiose, o li affidano a insegnanti privati, tutte alternative accettabili in questo momento storico. Non lo dico per elogiare un sistema che non mi piace affatto, ma soltanto per dire che il tentativo di trapiantare delle idee, anche buone, da un sistema all’altro semplicemente non va.

Potrei fare molti altri esempi. La recente riforma universitaria italiana ha eliminato la figura del ricercatore di ruolo all’Università, riducendolo a una sorta di assistant professor all’americana, con un limite di cinque anni. Si può comprendere l’intento di non dispensare più posizioni di ricercatore a vita. E tuttavia negli Stati Uniti il sistema funziona perché numerose Università offrono la possibilità di una promozione interna al rango di associate professor con tenure (ossia a tempo indeterminato). Invece in Italia questa possibilità non esiste: occorre attendere il bando di un’abilitazione nazionale, a cui si presentano tantissimi candidati della più diversa preparazione; dopo di che gli abilitati debbono sempre ancora superare un concorso locale, in concorrenza con altri candidati abilitati. Al momento i concorsi scarseggiano, soprattutto nelle discipline umanistiche. Ma come si può credere di attingere soltanto questo o quell’elemento dal nostro sistema universitario e trapiantarlo in Italia? In questo modo i “nuovi” ricercatori ci rimettono il vantaggio del ruolo, senza nulla acquistare in cambio: ma come potranno svolgere ricerche di lunga lena?

Si capisce che i problemi in cui si dibatte l’Italia sono reali, e che il governo deve cercare soluzioni giuste in una congiuntura proibitiva. Ma prendere a modello le soluzioni di un altro paese senza accettare l’insieme del sistema è davvero problematico. Sarebbe di gran lunga preferibile che si elaborassero soluzioni adatte all’Italia (o agli Stati Uniti), anziché tentare di assumere quelle altrui senza comprenderne a fondo il funzionamento. Alla prova dei fatti, plaudo alle soluzioni italiane quando fanno vivere il meglio di questo paese.

Philip Gossett

Robert W. Reneker Distinguished Service Professor Emeritus

Department of Music

University of Chicago

 

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