Le tecnologie elettroniche hanno apportato eccezionali cambiamenti in tutti i campi della società, non escluso il mondo delle biblioteche, depositarie sin dall’antichità di vasti àmbiti della conoscenza. Oggi, grazie alle tecnologie digitali, si assiste a un ingente aumento della produzione documentaria, in particolare quella su supporto non cartaceo. Ciò obbliga le biblioteche ad usare criteri nuovi nell’organizzazione, nella gestione e nella trasmissione del sapere. Per tal motivo da alcuni anni sono stati attivati da parte dei bibliotecari, in collaborazione con i docenti, corsi di information literacy, ossia corsi di alfabetizzazione informativa che aiutino studenti e studiosi a valutare le informazioni e utilizzare le risorse bibliografiche tradizionali ed elettroniche.
Sapere cos’è un repertorio, una bibliografia, reperire un articolo in rete, consultare un catalogo on line e una banca dati specialistica o multidisciplinare, apprendere strategie di ricerca, non costituisce soltanto un arricchimento personale per stare al passo con i tempi in una società sempre più tecnologica, ma una vera necessità per condurre agevolmente i propri studi. Acquisire poco a poco le abilità necessarie nell’utilizzo delle risorse informative sollecita l’utente a intraprendere ricerche più razionali e mirate, risparmiando tempo nel localizzare e recuperare i documenti, e ottenendo infine risultati di qualità.
Grazie a questi corsi l’utente si trasforma in un information literate, una persona che sa padroneggiare l’informazione, che impara a capire quando può procedere autonomamente, e quando, invece, deve chiedere consiglio e aiuto agli esperti dell’informazione. Come sottolinea Laura Ballestra (Biblioteca Mario Rostoni dell’Università Carlo Cattaneo LIUC) nel volume Information literacy in biblioteca, obiettivo dell’alfabetismo informativo è “l’imparare ad imparare”, il “learn to learn”, la capacità cioè di discernere le modalità più adatte di documentazione per risolvere un problema specifico. I corsi tendono perciò a fare instaurare all’utente un rapporto più stretto, fiduciario, con il bibliotecario, e a fargli percepire la biblioteca come un ambiente decisamente familiare.
La biblioteca odierna non è più quella del Nome della rosa di Umberto Eco, rappresentata come sacro tempio inaccessibile in cui il bibliotecario, più che favorire, impedisce l’accesso al patrimonio documentario. Essa deve diventare un ambiente sempre più friendly, nel quale l’utente venga discretamente accompagnato e guidato nell’intricato mare magnum delle informazioni.
Maria Grazia Cupini
Bibliotecaria
Dipartimento delle Arti
Università di Bologna