Chi ha paura della musica medievale?

Fin dall’Età carolingia, la scrittura musicale ha consentito di conservare e trasmettere le musiche del passato, così come avviene per la poesia o la pittura. Della musica medievale possediamo dunque non solo notizie indirette ma le melodie stesse, da leggere ed eseguire. Però, a differenza dei quadri o dei testi letterari, oggi come allora concretamente presenti su tela o su carta, i canti e i brani strumentali tramandati da una pergamena, per diventare musica, debbono essere ri-creati di volta in volta.
Questa ovvietà si scontra con difficoltà insormontabili quando si voglia recuperare il senso e quindi la corretta comprensione del messaggio che le melodie tramandano. Queste sono solo scheletri: la loro traduzione in suono passa attraverso la sensibilità dell’interprete, le aspettative degli ascoltatori, l’orizzonte culturale di entrambi.

Le infinite possibilità interpretative nel ricostruire le musiche del passato hanno indotto il pensiero decostruzionista ad affermare che la musica medievale è un’invenzione moderna. In effetti è per noi impossibile ricostruire oggi l’immaginario collettivo di tanti secoli fa, nonché conoscere quelle sfumature esecutive trasmesse oralmente di maestro in allievo, parte essenziale della formazione dei musicisti. Ciò comporta che la polifonia rinascimentale e il repertorio gregoriano producano all’ascolto un effetto di esotismo: il loro senso viene talvolta stravolto, tanto da impiegarli come sottofondo di atmosfere erotiche!

Per evitare che tale patrimonio musicale — attraverso il quale passa tanta parte della nostra identità culturale — rimanga negletto, occorrono strategie educative mirate. L’ascolto estemporaneo è sterile per salmodia e melodie liturgiche, canti trobadorici, mottetti di Machaut, Dufay, Desprez e messe del Palestrina: queste composizioni riacquistano senso, ed esplicano il loro potenziale comunicativo e suggestivo, se le si contestualizza, se si ricostruiscono idealmente gli edifici, gli scopi, gli usi sociali per i quali furono concepite ed eseguite.

Il percorso conoscitivo prende avvio dalla comprensione dei testi letterari alla base delle musiche, e ricava informazioni da vari campi: liturgia, consuetudini sociali, iconografia, architettura dei luoghi di culto e di spettacolo, pensiero filosofico e teologico.

In tal modo è possibile colmare la distanza estetica che ci fa sembrare uguali tutte le melopee gregoriane, sia che intonino testi di dolore o di esultanza (i sentimenti umani, sublimati nell’esperienza mistica del divino e dell’eterno, perdono i connotati che ci sono più familiari!); o comprendere il significato del mottetto Nuper rosarum flores, composto da Guillaume Dufay per la consacrazione del duomo di Firenze: nella sua partizione interna esso ripropone le proporzioni del Tempio di Salomone, modello di ogni chiesa. Ma l’ascoltatore, e anche l’esecutore non informato di questa straordinaria architettura musicale percepirebbe davvero poco, se si affidasse al solo ascolto immediato.

Cesarino Ruini

Ordinario di Paleografia musicale

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Chi ha paura della musica medievale?

Chi ha paura della musica medievale?

Fin dall’Età carolingia, la scrittura musicale ha consentito di conservare e trasmettere le musiche del passato, così come avviene per la poesia o la pittura. Della musica medievale possediamo dunque non solo notizie indirette ma le melodie stesse, da leggere ed eseguire. Però, a differenza dei quadri o dei testi letterari, oggi come allora concretamente presenti su tela o su carta, i canti e i brani strumentali tramandati da una pergamena, per diventare musica, debbono essere ri-creati di volta in volta.
Questa ovvietà si scontra con difficoltà insormontabili quando si voglia recuperare il senso e quindi la corretta comprensione del messaggio che le melodie tramandano. Queste sono solo scheletri: la loro traduzione in suono passa attraverso la sensibilità dell’interprete, le aspettative degli ascoltatori, l’orizzonte culturale di entrambi.

Le infinite possibilità interpretative nel ricostruire le musiche del passato hanno indotto il pensiero decostruzionista ad affermare che la musica medievale è un’invenzione moderna. In effetti è per noi impossibile ricostruire oggi l’immaginario collettivo di tanti secoli fa, nonché conoscere quelle sfumature esecutive trasmesse oralmente di maestro in allievo, parte essenziale della formazione dei musicisti. Ciò comporta che la polifonia rinascimentale e il repertorio gregoriano producano all’ascolto un effetto di esotismo: il loro senso viene talvolta stravolto, tanto da impiegarli come sottofondo di atmosfere erotiche!

Per evitare che tale patrimonio musicale — attraverso il quale passa tanta parte della nostra identità culturale — rimanga negletto, occorrono strategie educative mirate. L’ascolto estemporaneo è sterile per salmodia e melodie liturgiche, canti trobadorici, mottetti di Machaut, Dufay, Desprez e messe del Palestrina: queste composizioni riacquistano senso, ed esplicano il loro potenziale comunicativo e suggestivo, se le si contestualizza, se si ricostruiscono idealmente gli edifici, gli scopi, gli usi sociali per i quali furono concepite ed eseguite.

Il percorso conoscitivo prende avvio dalla comprensione dei testi letterari alla base delle musiche, e ricava informazioni da vari campi: liturgia, consuetudini sociali, iconografia, architettura dei luoghi di culto e di spettacolo, pensiero filosofico e teologico.

In tal modo è possibile colmare la distanza estetica che ci fa sembrare uguali tutte le melopee gregoriane, sia che intonino testi di dolore o di esultanza (i sentimenti umani, sublimati nell’esperienza mistica del divino e dell’eterno, perdono i connotati che ci sono più familiari!); o comprendere il significato del mottetto Nuper rosarum flores, composto da Guillaume Dufay per la consacrazione del duomo di Firenze: nella sua partizione interna esso ripropone le proporzioni del Tempio di Salomone, modello di ogni chiesa. Ma l’ascoltatore, e anche l’esecutore non informato di questa straordinaria architettura musicale percepirebbe davvero poco, se si affidasse al solo ascolto immediato.

Cesarino Ruini

Ordinario di Paleografia musicale

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Articoli consigliati