L’ultimo paradosso del rapporto fra scuola e università in merito alla formazione artistica

Nel recente dispositivo previsto dal MIUR per quanto concerne il riordino delle classi di concorso, sono state fissate le lauree che consentiranno l’accesso all’insegnamento della disciplina A07 – Discipline audiovisive e multimediali, prevista in una serie di indirizzi del Liceo Artistico. Per chi lavora nel settore audiovisivo sarebbe certamente una buona notizia, giacché garantirebbe l’ingresso istituzionalizzato nel panorama scolastico di una serie di competenze che, all’estero, rientrano nel più vasto settore della cosiddetta “media literacy”. Àmbito da sempre demandato – in Italia – alla libera iniziativa del docente curioso e volenteroso.

Ebbene, per qualche misteriosa ragione, il legislatore ha ritenuto che le lauree necessarie per poter insegnare le discipline audiovisive siano le seguenti: LM 3 – Architettura del paesaggio e LM 4 – Architettura e ingegneria edile. Al di là di ogni ironia, si resta allibiti dal fatto che si ritenga un architetto e perfino un ingegnere edile in grado di insegnare discipline audiovisive e multimediali ma non si ritiene possano esserlo i laureati della LM 65 – Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Laureati che hanno, solitamente, un alto numero di crediti in L-Art/06 (Cinema, Fotografia, Televisione) nel loro curriculum e che potranno altresì insegnare nella classe A11 – Discipline letterarie e latino

La Consulta Universitaria del Cinema sta cercando di porre riparo a questo paradosso, ma gli esiti sono incerti. Tuttavia, indipendentemente da come andrà a finire e dalla situazione contingente, non si può che avanzare una riflessione amara. Come quasi sempre è avvenuto, in passato, nel campo dell’AFAM (Alta formazione artistica e musicale), per esempio nel rapporto fra Università e Conservatori o Accademie di Belle Arti, anche in questo caso si ha la sensazione che lo sviluppo universitario delle discipline artistiche non sia stato minimamente recepito a livello ministeriale.

Non ci interessa sapere di chi sia la colpa. Può darsi vi che sia un concorso di colpe fra alcune logiche corporative che conducono all’elaborazione di “criteri scriteriati”; una certa arretratezza e impermeabilità del comparto scolastico del MIUR, che fatica a tenersi aggiornato su ciò che avviene nell’altra ala del Ministero; la situazione caotica e stratificata dell’accesso all’insegnamento, segnato da troppe riforme. E certo ha contribuito (l’autocritica non guasta mai) anche la ben nota ritrosia degli accademici a confrontarsi in modo aperto e concreto col mondo della scuola.

Resta il fatto che – in questo come negli altri casi citati – quando c’è in gioco la competenza dei futuri insegnanti e la formazione di studenti in un’età particolarmente delicata, si deve trovare il modo di cooperare positivamente, nel rispetto delle reciproche istanze, per arrivare a soluzioni che non si pretendono ottimali ma almeno di elementare buon senso.

Giacomo Manzoli

Professore ordinario di Storia del cinema italiano

Dipartimento delle Arti – Università di Bologna