Educazione musicale e repertori

Vorrei tornare sulla questione dell’utilizzo di musiche come la techno nel curricolo musicale della scuola dell’obbligo, con un paio di osservazioni. In genere, l’argomento a favore è che, come per altre materie scolastiche, bisogna partire dall’ambiente dei discenti e utilizzare forme e espressioni familiari come mezzi per l’obiettivo prefissato (spesso col tacito sottinteso che per i ragazzi delle scuole primarie e secondarie la musica “classica” o la “contemporanea” siano “fuori dal mondo”, quindi difficilmente impiegabili). Questa, più o meno, è stata la parola d’ordine per chi insegnava Educazione musicale negli anni ’90. Beninteso, tutto può e deve essere oggetto di riflessione e motivo di crescita culturale se affrontato con spirito critico: bisogna però stabilire delle priorità, e agire di concerto col contesto. Considerando che la musica non dispone dello stesso sistema semantico del linguaggio verbale, mi sembra che questa meccanicistica trasposizione metodologica celi un pregiudizio “comunicazionale” che non tiene conto di almeno due fattori.

Il primo riguarda la cognitività musicale. Nella mia Teoria delle musiche audiotattili ho individuato due modelli cognitivi, audiotattile e visivo, che presiedono alla concezione, produzione e ricezione di forme e comportamenti musicali. Questi modi cognitivi agiscono subliminalmente nei processi creativi e ricettivi. In pratica, vi sono linguaggi musicali più visivi in cui vigono (e si trasmettono empaticamente) valori astrattivi lineari-razionali e altri, audiotattili, più fondati sulle funzioni formativo-strutturanti della corporeità. Quest’aspetto si lega al secondo fattore, che concerne la mutazione antropologica in atto nelle nuove generazioni di nativi digitali, che sotto il profilo cognitivo sono estremamente (audio)tattilizzati (ad esempio, tramite i touch screens degli ipad e gli audiovisivi), con velocità di riflessi inversamente proporzionale alla capacità di attenzione. Al di là di essenzialismi e di sterili faziosità, bisogna dunque stabilire serenamente di cosa c’è più bisogno.

Diceva Marshall McLuhan che «le cose cambiano moltissimo a seconda se un medium è usato in una cultura calda o fredda». Ebbene, oggi più che mai – specialmente in considerazione del multiculturalismo – le nuove generazioni cresciute tastando con l’indice sul touch screen del video game a 220 alla semiminima hanno un assoluto bisogno della logica razionale, della linearità astrattiva e della normatività combinatoria. Seguire (fino a tematizzare con l’analisi) la consequenzialità dialettica di una forma sonata, la combinatoria costruttiva delle figure musicali nello stile galante, la logica deduttiva della composizione dodecafonica, la geometrica precisione della struttura metrica di un anatole di Charlie Parker, è un’iniezione di visività che di sicuro riequilibra l’audiotattilità di cui sono imbevute le generazioni più giovani. Insistere, invece, con un sovradosaggio audiotattile mi sembra controproducente.

Dopodiché, se si vuole, ci si potrà ben disporre a discettare sui tratti stilistici distintivi dei cinque periodi della Detroit techno.

Vincenzo Caporaletti

Università di Macerata

Conservatorio di musica “S. Cecilia” – Roma