INTERVENTO · Pinocchio e la musica

«Chi capisce la bellezza di Pinocchio», scriveva Giuseppe Prezzolini nel 1923, «capisce l’Italia».[1] La figura del burattino – metafora privilegiata dei discorsi sul soggetto moderno – è stata spesso chiamata in causa per interpretare il processo di costruzione della nazione e la nascita delle ideologie,[2] ma anche le dinamiche politiche del ventennio, della repubblica e della guerra fredda.[3]

L’Italia di oggi è ben lontana da quella del 1881, quando il romanzo di Carlo Collodi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino venne pubblicato a puntate su «Il Giornale per i bambini», e poi ristampato in volume nel 1883. Il testo si colloca nell’alveo della “pedagogia patriottica”, che dopo l’unificazione chiamò a raccolta le migliori forze intellettuali del paese per costruire una visione comunitaria della nazione, dei suoi valori e dei suoi simboli culturali. La narrazione è intessuta di spunti educativi e metafore particolarmente felici (come il naso lungo associato alle bugie o il grillo parlante come voce della coscienza), ma anche di vari riferimenti alla musica.

Nel nono capitolo, il burattino si incammina verso la scuola «col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio», e discorrendo tra sé elenca una serie di buoni propositi: imparare a leggere, scrivere e far di conto, per poi trovarsi un onesto lavoro e comprare una casacca nuova per il suo babbo. Ma qualcosa, all’improvviso, lo induce a mutar parere:

Mentre tutto commosso diceva così gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì pì pì zum, zum, zum, zum. […]
– Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no…
E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi.
– Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo.[4]

In questo passo la musica viene messa in aperta contrapposizione con la scuola, la cultura, il sapere. Pinocchio venderà il suo Abbecedario per andare al teatro dei burattini, ma di fatto è la musica l’agente “malefico” che l’ha distolto dall’intenzione di diventare un ragazzo per bene. Non si può escludere che questo messaggio subliminale abbia inciso sulla mentalità di generazioni di piccoli italiani, fino a forgiarla, mentre in parallelo la politica decretava l’esclusione della musica dai programmi scolastici.

Altri riferimenti alla musica affiorano nella descrizione dei Paese dei balocchi, dove i ragazzi giocano e cantano tutto il giorno, per poi trasformarsi in ciuchini. Qualche pagina dopo l’asinello Pinocchio, costretto a lavorare in un circo, rimane zoppo e viene venduto a un compratore che con la sua pelle vuol fare un tamburo per la banda musicale del suo paese. E così il cerchio si chiude: il richiamo della musica l’ha condotto sulla cattiva strada, e solo l’intervento provvidenziale della Fata turchina riuscirà a salvarlo da un triste destino associato, ancora una volta, al mondo della musica. 

Se l’obiettivo del capolavoro di Collodi era quello di tracciare le coordinate formative della nuova nazione, il suo messaggio risulta forte e chiaro: la musica non può svolgere alcun ruolo educativo nell’Italia del futuro, che all’epoca era ancora tutta da costruire. Dopo la fine del Risorgimento e della grande stagione del melodramma, la musica sembra aver perso la sua capacità di interagire con le categorie del pensare e dell’agire collettivo, ed è stata relegata a un ruolo sempre più marginale nella cultura e nella società italiana, con effetti che perdurano ancor oggi.

Si pensi, per citare qualche esempio, all’esclusione della storia della musica dai percorsi formativi delle scuole superiori e all’esiguo numero di orchestre stabili, rispetto ad altri paesi europei. Fenomeni di lungo corso, dovuti a tante cause diverse; ma forse, anche Pinocchio ha avuto una piccola parte di responsabilità in tutto questo.

Susanna Pasticci
Professoressa associata di Musicologia e Storia della musica
Dipartimento di Lettere e filosofia, Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale


[1] Giuseppe Prezzolini, La coltura italiana, Firenze, La Voce, 1923, p. 222.
[2] Suzanne Stewart-Steinberg, L’effetto Pinocchio. Italia 1861-1922. La costruzione di una complessa modernità, Roma, Elliot, 2011.
[3] Stefano Pivato, Favole e politica. Cappuccetto rosso e Pinocchio durante la guerra fredda, Bologna, Il Mulino, 2015.
[4] Carlo Collodi (pseudonimo di Carlo Lorenzini), Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, edizione integrale illustrata da Carlo Chiostri, Torino, Amazon, 2022, p. 22.

1 commento

  1. Complimenti vivissimi Susanna !

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