Per una didattica della prassi musicale antica

Oggi si ascoltano spesso esecuzioni musicali ‘storicamente informate’, su strumenti vuoi originali, vuoi in copia. La ricerca sulla prassi musicale ‘storica’ inizia tra fine Otto e inizio Novecento; fra i pionieri c’è il musicista e strumentaio Arnold Dolmetsch (1858-1840).

Più vicino a noi, negli anni Sessanta e Settanta, musicisti come Nicolaus Harnoncourt, Gustav Leonhardt e Luigi Ferdinando Tagliavini applicano all’esecuzione dal vivo i frutti delle loro approfondite ricerche.

Per tenere il passo coi tempi è sempre più urgente che la prassi storica cessi di restare prerogativa di pochi e diventi materia di studio per tutti i musicisti. Per questa via l’approfondimento delle discipline musicologiche potrà diventare lo strumento vivo e indispensabile per tutti i musicisti-esecutori, oltreché per gli studiosi. Ancora oggi, nonostante una tradizione ormai consolidata, nei Conservatori italiani lo studio della prassi storica applicata resta spesso prerogativa esclusiva dei dipartimenti di musica antica. Gli altri studenti continuano a ignorare le regole basilari della prassi esecutiva pertinente ai diversi periodi storici e alle singole tradizioni stilistiche nazionali, ed eseguono indistintamente brani di periodi diversi applicando gli stessi principi estetici e stilistici. Tale lacuna si deve probabilmente tanto al mancato dialogo e scambio fra dipartimenti quanto a un’atavica diffidenza e resistenza nei confronti del mutamento d’indirizzo estetico-esecutivo del repertorio barocco e classico consolidatosi nel secondo dopoguerra. Il sistema didattico inglese, all’opposto, già dagli anni Settanta contempla obbligatoriamente lo studio dello strumento antico anche nel percorso cosiddetto ‘classico’.

In senso generale, lo studio dei trattati, della teoria, della prassi esecutiva peculiare di ciascuno strumento, unitamente all’analisi formale del repertorio pertinente, dovrebbero far parte dell’offerta formativa ed essere fruiti, fin dai primi anni e ai vari livelli, da tutti gli studenti.

Fin dalle origini, il Conservatorio forma musicisti professionisti. Nel sistema italiano, se l’ordinamento novecentesco pendeva dal versante opposto alle discipline teoriche, nel nuovo ordinamento, adottato in seguito alla riforma della legge 508/1999, queste ultime hanno assunto un peso talvolta soverchiante, né sempre rispondono a esigenze funzionali per la formazione musicale pratica. In passato, infatti, l’organizzazione didattica delineata dal Decreto Regio dell’11 dicembre 1930 n. 1945 prevedeva uno studio intensivo del proprio indirizzo affiancato a poche materie complementari. I programmi del 1930 sono poi rimasti sostanzialmente in vigore fino all’avvio della riforma del 1999. Il decreto ministeriale 90 del 3 luglio 2009 ha istituito e dato avvio alla determinazione degli ordinamenti didattici, istituendo un’area apposita per le “discipline interpretative della musica antica” (COMA/01-16 e COMI/07) che hanno visto infine una parità di riconoscimento alle altre materie, allineandosi così alle altre istituzioni europee.

Tali riforme, per quanto importanti, non hanno però smantellato una tendenziale settorialità dei saperi, che non favorisce la collaborazione fra i vari dipartimenti. Non mancano singoli esempi virtuosi, Conservatori che contemplano, accanto al percorso di Violino tradizionale, il Violino barocco come secondo strumento, o Conservatori in cui è possibile studiare entrambe le discipline con un docente versato in entrambi i percorsi. Oltre a ciò, è importante sottolineare che moltissimi musicisti italiani sono tra le figure più eminenti del settore a livello internazionale. Resta ancora molto da fare, ma per fortuna l’interesse per la prassi musicale storica in Italia è in costante crescita.

Daniela Nuzzoli
Università di Bologna
Scuola di specializzazione in Beni musicali

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