Dislessia e lettura musicale

Secondo lo psicologo Giacomo Stella, la dislessia è un disturbo che ostacola il normale processo di interpretazione dei segni grafici con cui vengono rappresentate per iscritto le parole (La dislessia. Quando un bambino non riesce a leggere, Bologna, Il Mulino 2017). La casistica clinica non è univoca, anzi, sono ancora aperte varie questioni, originate dalle diverse manifestazioni del deficit di lettura, tanto che alcuni studiosi suggeriscono di parlare di ‘dislessie’ al plurale. Risulta però accertato che non si tratta di una malattia, poiché non vi è un danno organico, bensì di un diverso neurofunzionamento del cervello, che non impedisce la realizzazione dell’abilità di lettura, ma richiede tempi più lunghi e maggiori carichi di attenzione. 

Grazie alle strategie compensative che l’individuo mette in atto nel corso della propria esistenza, tale disturbo può attenuarsi anche considerevolmente. Studi pionieristici degli anni Settanta e Ottanta hanno evidenziato come nelle famiglie che presentavano membri dislessici di tre generazioni alcuni risultavano persone creative e ricche di talenti. Si potevano trovare artisti, tra cui musicisti, àmbito interessante per lo studio della dislessia.

Sappiamo che il sistema di notazione musicale è complesso, si possono pertanto riscontrare serie difficoltà nel suo apprendimento. L’impegno richiesto nella lettura è intenso poiché mobilita funzioni cognitive come la memoria di lavoro e coinvolge il sistema dell’attenzione nella percezione e memorizzazione dei vari parametri: l’altezza da attribuire a una nota secondo la chiave in cui è scritta, o le modifiche determinate dalle alterazioni, o la durata delle note. Di recente si è scoperto che esiste una correlazione stretta tra le abilità necessarie per fare musica e quelle necessarie per il linguaggio (ad esempio, organizzazione della frase e del periodo, intonazione delle parole in base all’uso che ne si vuole fare, metrica, prosodia, e capacità di riconoscere il segno). Grazie agli studi nell’àmbito delle neuroscienze è emerso che musica e linguaggio interessano le stesse aree del cervello.

Uno degli ostacoli maggiori che un dislessico deve affrontare nello studio di uno strumento musicale è la lettura dello spartito. In generale, il processo di apprendimento della lettura dei testi letterari si suddivide in tre fasi: 1) riconoscimento dei caratteri di alcune parole; 2) conversione dei grafemi in fonemi; 3) applicazione alla lettura delle regole, sia fonetiche che prosodiche e delle conversioni. Per i dislessici è molto difficile raggiungere il secondo stadio. Nella musica, la lettura è ancora più complessa poiché, per quanto attiene al parametro dell’altezza, non esiste la prima fase ma si passa direttamente al secondo stadio, cioè alla conversione del simbolo in suono. Vi sono poi anche altri fattori che complicano ulteriormente, e riguardano le pulsazioni del tempo, le figure ritmiche, le indicazioni di agogica e di dinamica.

Che strategie può dunque attuare un docente di musica con uno studente dislessico? Innanzitutto questi si troverà meglio se il docente fornirà fotocopie ingrandite e colorate, utilizzando un colore diverso per ognuna delle sette note. Si proporranno anche dei post-it degli stessi colori dello spartito da inserire sulla tastiera dello strumento. Per aiutare ad associare note e righi si possono impiegare i colori dell’arcobaleno per evidenziare i singoli righi o interi pentagrammi. Sarà il dislessico stesso che deciderà a quale tipologia ricorrere. In una lezione di gruppo, potrebbe essere utile affiancare all’alunno dislessico uno esente da tale neurodiversità, in modo che lo possa aiutare a ritrovare il segno sullo spartito quando esso viene perso.

Più in generale un’azione pedagogico-didattica che promuova esperienze di tutoring e peer tutoring, basata sulla collaborazione tra alunni, può creare opportunità straordinarie per ogni studente e permette, contemporaneamente, di perseguire gli obiettivi di integrazione, ottimizzando i risultati cognitivi e socio affettivi di tutti. Questa pratica, che consiste nell’insegnamento reciproco tra pari, è nata dall’esigenza di rispondere alle svariate sfide circa le difficoltà di apprendimento e della ‘diversità’, e conduce ad una reale integrazione degli allievi: è dunque molto efficace ai fini dell’inclusione.

Filippo Crudetti
Università di Bologna
Scuola di specializzazione in Beni musicali

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