INTERVENTO · La formazione degli insegnanti di scuola secondaria: anno ventesimo, riforma quinta

In principio il legislatore creò il concorso ordinario. Il concorso era imprevedibile e farraginoso e le tenebre ricoprivano la preparazione didattica del futuro docente e lo spirito di chi proclamava ‘chi sa, sa insegnare’ aleggiava sulla scuola.

Berlinguer disse: «Sia la SSIS!». E la SSIS fu. Berlinguer vide che la SSIS era cosa buona e Berlinguer separò l’area trasversale dalle aree disciplinari. Berlinguer chiamò l’area trasversale ‘socio-psico-pedagogica’, mentre chiamò le aree disciplinari con i loro nomi. E fu sera e fu mattina: riforma prima.

Gelmini disse: «Sia un percorso articolato in due tappe». Gelmini fece le lauree magistrali a numero programmato, di impianto disciplinare ma con l’obbligo di acquisizione curricolare di CFU nell’ambito delle scienze dell’educazione e delle discipline antropologiche e separò le lauree magistrali dall’anno seguente di formazione post-laurea. E così avvenne (almeno virtualmente, perché Gelmini aveva limitate capacità creative). Gelmini chiamò l’anno post-laurea Tirocinio Formativo Attivo. E fu sera e fu mattina: seconda riforma.

Gelminidisse: «Il TFA abbia vita autonoma, anche se esso non è stato pensato così e dovrebbe esistere solo in unione alla laurea specifica che ne costituisce il logico presupposto». E così avvenne. Gelmini non chiamò il TFA ‘SSIS concentrata’ ma tutti lo capirono ugualmente e alla fine non se la presero più di tanto. Gelmini disse: «Il TFA produca abilitati, ciascuno secondo la propria specie, e vi si aggiungano i PAS (Percorsi Abilitanti Speciali) per coloro che sono già stati piantati nella scuola ma in tutti gli anni delle SSIS non hanno mai preso uno straccio di abilitazione, e facciano ciascuno frutto secondo la propria specie». Pensò che questa era cosa buona, ma in realtà lo pensò solo lei. E fu sera e fu mattina: terza riforma.

Renzi disse: «Ci sia un collegamento stretto tra formazione e reclutamento, per evitare un’ulteriore proliferazione del precariato; sia un segno per il futuro, per i giorni e per gli anni e sia fonte di rinnovamento per illuminare la scuola». E così avvenne. E Renzi fece la legge maggiore che chiamò ‘della buona scuola’ per rinnovare tutto il comparto scolastico e la decretazione minore per la formazione degli insegnanti che chiamò FIT – Formazione Inserimento Tirocinio. Renzi pose entrambe nel firmamento della scuola e tutto sommato l’insieme, almeno in linea teorica, era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarta riforma.

Il popolo disse: «Siamo stufi di Renzi e del suo governo». Il popolo votò e ne risultò un guazzabuglio quale mai s’era visto prima, neanche ai tempi della tanto vituperata prima repubblica. Era difficile che da lì sortisse qualcosa di buono, ma alcuni esseri verdi e altri esseri gialli, ciascuno secondo la loro specie, diedero vita a un programma di governo che chiamarono pomposamente ‘del cambiamento’. E fu sera e fu mattina: quinto giorno.

Il governo gialloverde disse: «Si abolisca tutto quello che l’odiato Renzi ha pensato per la formazione degli insegnanti, salvo la parte peggiore del FIT (ovverossia i 24 CFU di prerequisiti antropo-psico-pedagogici, tanto nessuno ha realmente capito a cosa servano e perché debbano essere acquisiti prima di intraprendere un cammino specifico di formazione all’insegnamento)». E così avvenne. Il governo gialloverde disfece tutto quel che avevano fatto i governi precedenti, senza però mettere assolutamente nulla al posto di quel che gli altri ci avevano messo: smantellò le relazioni che Università e Scuola in vent’anni avevano tessuto in proposito; abolì il tirocinio e la relativa riflessione guidata, uno dei frutti migliori della stagione SSIS; minò alla base la possibilità che i futuri docenti, alla fine del percorso di formazione, potessero parlare una lingua comune perché, al netto delle differenze disciplinari, avevano avuto (e avrebbero continuato ad avere) una formazione comune; lasciò sulle spalle (e sulle finanze) delle Università il carico dei 24 CFU antropo-psico-pedagogici, ora però completamente avulsi da ogni contestualizzazione all’interno di un percorso definito e quindi del tutto inutili, o forse persino dannosi; ripropose insomma la situazione pre-SSIS come fosse una novità, aggiungendovi pure una possibile nuova edizione dei PAS, ed ebbe anche il coraggio di affermare che una contro-riforma del genere era cosa buona.

E così il governo gialloverde creò la quinta riforma: una riforma tuttavia vuota di contenuti, spacciata per novità quando invece non era altro che la riproposizione di un modello esaurito; presentata come più vicina alle necessità di coloro che aspirano a essere buoni insegnanti quando in realtà tornava semplicemente al principio che ‘chi sa, sa insegnare’ ed era dunque offensiva per tutti coloro che per vent’anni, nell’università e nella scuola, hanno lavorato in quel campo.

Il governo gialloverde però implose nella parte verde. Nacque così un altro governo che qualcuno ha definito ‘Mazinga’ ma che sembra avere meno superpoteri di Boss Robot e che, sul fronte della scuola, ha previsto un concorso ordinario e uno straordinario ma al contempo non sembra molto preoccupato del tipo di formazione che i vincitori di questi concorsi riceveranno nello specifico della funzione docente.

E quindi a noi tocca dire ad alta voce che, oltre ogni concorso contingente, è assolutamente necessario ricostituire un percorso formativo di specializzazione della durata di almeno un anno accademico che assicuri un’armonica articolazione della formazione in tutti i settori pedagogici e nelle diverse didattiche disciplinari; che coniughi gli approfondimenti scientifico-culturali con l’analisi della pratica educativa e didattica anche in chiave laboratoriale, e che comprenda un’adeguata attività di tirocinio diretto e riflessivo. Il che non vuol dire naturalmente riproporre tale e quale il modello SSIS, ma valorizzare ciò che di quel modello si è dimostrato un punto di non ritorno. Una valorizzazione che è compito anche del SagGEM suggerire e favorire tanto sul piano della ricerca accademica quanto su quello della prassi politica.

Solo così potremo sperare in un’alba del sesto giorno di cui si possa dire, se non proprio che era cosa molto buona, almeno che ha ristabilito il minimo della decenza. Solo dopo aver ottenuto questo risultato anche noi avremo qualche diritto di cessare, nel settimo giorno, da ogni lavoro che avevamo fatto.

Daniele Sabaino
Professore associato
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali

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