Ventesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Bologna, 18-20 novembre 2016

 

Abstracts

Andrea Garbuglia (Macerata)
La simbologia della Passione nel mottetto “Osculetur me” di Alessandro Grandi

La posizione quasi defilata occupata in seno alla cappella musicale di S. Marco (dove fu assistente di Monteverdi), ha dato ad Alessandro Grandi la possibilità di portare avanti un discorso coerente nelle scelte testuali dei suoi mottetti. Se prendiamo in considerazione soprattutto quelli scritti usando parti estrapolate dal Cantico dei Cantici, notiamo che l’operazione compiuta dal compositore non ha tanto l’obiettivo di musicare per intero il componimento poetico, quanto piuttosto di darne un’interpretazione musicale che faccia emergere una determinata lettura del testo.

Tra le sue composizioni incentrate sul Cantico, il mottetto Osculetur me rappresenta uno snodo importante per molte ragioni. In esso, innanzitutto, Grandi dà forse il primo esempio di uso coerente delle “sinfonie”, cioè di brevi sezioni interamente strumentali (nel nostro caso composte da 2 violini più basso continuo), inserite nel corso del mottetto a voce sola. In secondo luogo, se è vero che si può far risalire al compositore la paternità del termine ‘cantata’, visto che fu sicuramente uno dei primi ad usarlo nel titolo della raccolta Cantade et Arie a voce sola con basso continuo (1620), è altrettanto vero che in Osculetur me Grandi usa liberamente, alternandole, parti ariose ed altre più vicine al recitativo, quasi fornendo un modello formale (e non solo terminologico) alla Cantata barocca. La ragione che però più di ogni altra pone questo mottetto al centro della produzione grandiana risiede nel tipo di interpretazione che emerge dalla relazione tra testo e musica. I primi versi del Cantico sono stati interpretati in vario modo, tuttavia mai come in questo caso emerge in modo così chiaro una lettura fondata sulla simbologia della morte di Cristo. Il quadro è indubbiamente coerente: Cristo manifesta il suo amore per mezzo della propria morte e la Sposa non può che essere innamorata dello Sposo proprio per i segni che ne prefigurano la Passione. D’altra parte, nel Cantico lo Sposo è assente quasi per definizione, e quest’assenza è essa stessa prefigurazione della morte di Cristo.

Da dove nasce questa lettura, degna di un esegeta biblico più che di un compositore? Qual è il ruolo svolto dalla musica nel tentativo di far emergere una simbologia rimasta spesso nascosta nel testo? In che modo la complessa relazione tra recitativi, parti ariose e “sinfonie” riesce a restituire un’azione drammatica che, pur nella sua brevità (lo spazio di un mottetto), da una parte già prefigura la complessità della Cantata, e dall’altra apre alle sacre rappresentazioni della Passione di Cristo? Questi sono gli interrogativi a cui si è cercato di rispondere nell’intervento.