Ventiduesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»

Bologna, 23-25 novembre 2018

 

Abstracts

Gabriele Castagni (Reggio nell’Emilia)
Tra Orazio e Schubert: il sentimento ansioso del tempo e l’ombra del Wanderer

La figura del viandante è essenzialmente connaturata nell’immaginario della musica d’arte fra Otto e Novecento: attraversa l’opera di autori numerosi in modo pervasivo e in continuità storica, non solo in corrispondenza degli esiti più citati. Anche limitando la selezione a pochi prelievi, dal Wanderer di Schubert al caminante di Luigi Nono, incontriamo sovente questa figura: presenza quasi immancabile all’incrocio fra pensiero musicale e testo poetico. Si tratta beninteso di un dato culturale tanto significativo e molteplice, che non si contano a riguardo gli studi di riferimento: elaborati inoltre da prospettive numerose, dal linguaggio musicale alla letteratura, dallo studio storico-biografico alla interpretazione psicologica. Al cospetto di tutto ciò, l’apporto che si vuole elaborare disegna un percorso un poco divergente, perché accosta i testi di alcuni Lieder ai Carmina di Orazio. Così enunciato, il confronto riesce senz’altro un poco straniante; tuttavia, l’analisi di poche premesse può forse evidenziare certe analogie non trascurabili. A livello di motivi poetici, ad esempio, si può attivare ancora una volta e in questo contesto, come un valido reagente, la lettura riccamente argomentata di Alfonso Traina. Il grande studioso rivela nell’autore latino un sistema di valori che, rispetto alle coordinate di fondo dell’esperienza umana (lo spazio e il tempo), leva un sistema di difesa contro l’azione di forze inesorabili. I valori dell’angulus e del momentum, come “hic et nunc” dell’esistenza, nei versi oraziani diventano un dispositivo di protezione: servono a differire quanto più possibile la resa dei conti. Per contingenze storiche (la disfatta di Filippi e la paura del mondo esterno che essa portò a Roma) e per sensibilità, Orazio seppe realizzare un disegno creativo il cui perimetro – forse per l’ultima volta nella storia della poesia occidentale – poté ostinatamente chiudersi. Nella dialettica tra tempo ciclico e tempo lineare, l’autore delle Odi fece prevalere il primo: posizionando, con implacabile coerenza, ogni immagine di fuga nello spazio esterno di un epilogo. Nei suoi versi la prospettiva della partenza non è rimossa, anzi incombe nelle forme di una consapevolezza ansiosa; ma è differita con metodo e sempre contrastata, resa almeno più tollerabile nella forma di una condivisione. Quando proprio si dovrà partire, abbandonare la dimora sicura di una vita intera, si vada almeno in compagnia di una consolazione: l’amicizia, la contemplazione di un nuovo principio nella vicenda delle stagioni, la fiducia nell’arte poetica come garanzia d’immortalità. Ebbene questi motivi, tanto urgenti quanto contenuti nei Carmina oraziani, lungo la teoria dei secoli si rinforzano e diventano essenziali al genere lirico. Alle soglie dell’Ottocento, la loro azione è così diffusa da riuscire scoperta nell’arte meno sorvegliata: nella poesia di maniera, quella che ad esempio Schubert e Brahms – per citare loro soltanto – predilessero nei Lieder. Infatti, numerosi dei testi sui quali cadde la loro scelta ripropongono, ormai alla stregua di materiali grigi, quegli stessi motivi poetici che Orazio formalizzò: e offrono infine ai compositori altrettanti paradigmi di figure musicali (un solo esempio: disegno circolare/convergente vs vettore/disegno progressivo), attraverso i quali innescare l’avventura della forma musicale. Ecco, proprio su questo sfondo di contenuti poetici si distende un nuovo spazio, potenzialmente illimitato, di valori musicali astratti: spazio in cui, in termini estetici, la figura del viandante è ricostituita nella sua autenticità.