Gioia Filocamo – Bologna

Il mondo universitario sta cambiando coi tempi e presta sempre maggior attenzione alla realtà produttiva esterna: lo testimonia la frequente organizzazione di corsi o seminari che tentano di varcare la soglia delle strette esigenze curricolari per agganciare il sapere agli sbocchi produttivi. Parallelamente, la legge n. 449 del 27 dicembre 1997 (1) elargisce crediti d’imposta a imprese e soggetti di varia natura dietro “assunzione degli oneri relativi a borse di studio concesse per la frequenza a corsi di dottorato di ricerca, nel caso il relativo programma di ricerca sia concordato con il soggetto di cui al presente comma” e nei casi di “assunzione a tempo pieno … di titolari di dottorato di ricerca” (2). Tali orientamenti, tuttavia, evidentemente intesi a stabilire un’utile connessione fra il pianeta della cultura e il mondo del lavoro, per ora non favoriscono gran che l’uscita dal bozzolo universitario dei dottori di ricerca negli ambiti umanistici: si può ipotizzare che provvedimenti come quelli citati determineranno uno sbilanciamento numerico a favore dei posti di dottorato istituiti nelle Facoltà scientifiche e tecnologiche, che, favorite nel creare (e nel mantenere) relazioni importanti col mondo dell’impresa, potranno fruire di congrue integrazioni economiche per finanziare borse dottorali mediante convenzioni con “soggetti pubblici e privati in possesso di requisiti di elevata qualificazione culturale e scientifica e di personale, strutture ed attrezzature idonee”(3).

Quali prospettive di lavoro si aprono a chi ha potuto godere di una elevata qualificazione scientifica in un dottorato di ricerca in discipline musicali? Il mondo musicale fuori dall’università non smania certo per prendersi in carico questo personale specializzato. Tende piuttosto a preferirgli lavoratori che, magari meno esperti dei dibattiti culturali e delle problematiche sopraffine della musicologia, siano più a casa loro nella videoscrittura musicale, o nelle politiche gestionali, o nelle normative fiscali. Al termine del corso, peraltro, il dottore di ricerca ha mediamente dai 30 ai 35 anni, e talvolta di più: un’età assai avanzata, dal punto di vista del mondo del lavoro, per chi vada alla ricerca della prima occupazione. Anche la strada della partecipazione a tappeto a concorsi pubblici più o meno attinenti al proprio curricolo può essere frustrante per il dottore di ricerca (nonostante l’abolizione dei limiti di età per la partecipazione a concorsi) (4): per lo Stato italiano, infatti, il suo titolo di studio è l’unico privo di valore legale.

Le prospettive dell’insegnamento nelle scuole superiori e nei Conservatorii, che negli anni passati hanno rappresentato una risorsa occupazionale importante per laureati e dottori di ricerca in discipline musicali, sono state di recente vanificate dalla legge 124 del 3 maggio 1999 (“Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico”), che danneggia chi abbia scelto una scolarità lunga. Meglio nota come “legge sui concorsi riservati”, essa reca norme tali da configurare un’ennesima sanatoria scolastica. Sia nelle scuole secondarie sia nei Conservatorii e negli Istituti musicali pareggiati sono stati premiati i precari (abilitati o no) che avessero già prestato servizio di effettivo insegnamento per almeno 360 giorni negli ultimi dieci anni: costoro confluiscono di diritto nelle “graduatorie nazionali permanenti”, da cui si attingerà per il 50% dei posti di ruolo, nonché per le supplenze annuali e temporanee (5). L’articolo 2 della legge n. 508 del 21 dicembre 1999 ha mitigato la rigidità del provvedimento trasformando le predette graduatorie in graduatorie ad esaurimento (6); tale aspetto cruciale è stato poi riesaminato negli articoli 1 e 2 del decreto emanato dal Ministero della Pubblica Istruzione n. 426, del 7 dicembre 2000 (“Regolamento recante norme sulle modalità di integrazione e aggiornamento delle graduatorie permanenti previste dagli articoli 3, 4 e 6 della legge 3 maggio 1999, n. 124”). La morale non cambia: chi non abbia già messo piede nelle scuole o nei Conservatorii non vi andrà ad insegnare per moltissimo tempo. Certo, la continua contrazione della popolazione scolastica non incoraggia il trend occupazionale in questo settore lavorativo, ma forse s’intravvede qualche spiraglio di luce col riordino dei cicli scolastici dettato dalla legge n. 30 del 10 febbraio 2000, giacché una delle quattro aree curricolari previste è l’”artistica e musicale” (7).

Quali sono, allora, le realistiche prospettive occupazionali per i dottori di ricerca in discipline musicali? Nella sua semplicità, la domanda intende volgere lo sguardo sulla realtà del mondo del lavoro extra-universitario, trascurando dunque i casi, non numerosissimi, dei dottori che, destreggiandosi tra una borsa post-dottorato e un assegno di ricerca, riescono per un tratto a rimanere entro la sfera universitaria. È del resto giusto che la musicologia accademica non punti meramente a perpetuarsi e ad autoalimentarsi, ma cerchi sbocco anche fuori dai portoni degli atenei.

In Italia c’è forse anche un problema di semplice “visibilità” del titolo dottorale. A quanti di noi è già capitato di sentirsi chiedere spiegazioni elementari circa il dottorato? All’estero (p. es. in Germania o in Francia o nel Regno Unito) non è così: anche la gente qualunque conosce la differenza di grado che intercorre tra il semplice laureato o diplomato o licenziato e il dottore, e sa che non è la stessa cosa concorrere ad un posto di lavoro nella prima o nella seconda condizione.

La difficoltà d’inquadramento occupazionale dei dottori di ricerca in discipline musicali rappresenta uno dei dati più significativi nell’indagine statistica presentata nelle pagine successive. Il tasso d’instabilità e mutevolezza nella condizione lavorativa dei dottori che non hanno tuttora un inquadramento nei ruoli universitari ha richiesto alle autrici di questo resoconto un continuo aggiornamento dei dati, sia per chi opera a vario titolo dentro l’università, sia per coloro che hanno cercato lavoro all’esterno. Se da un lato questo stato di cose riflette l’estrema mobilità che caratterizza oggidì il mondo dell’occupazione, dall’altro esso testimonia le difficoltà specifiche incontrate dai dottori in discipline musicali nella ricerca di una collocazione professionale.

Alcuni dottori sono oggi bibliotecari (non tutti bibliotecari musicali): anche se tale attività può sembrare uno degli sbocchi “naturali” dopo anni di specializzazione dottorale, va ricordato che le competenze necessarie per affrontare con successo i concorsi da bibliotecario nella pubblica amministrazione vanno in gran parte acquisite ad hoc, fuori dal normale iter universitario.

Nuove occasioni di lavoro potrebbero aprirsi in futuro ai dottori con le esigenze della formazione superiore nei Conservatorii recentemente riformati (legge 508/99). Non è però chiaro a quale soggetto spetterà l’esercizio della funzione didattica in corsi di formazione musicale equipollenti con i diplomi universitari di primo livello.

Un altro settore appetibile per i dottori di ricerca è quello della critica musicale. Ancora, le competenze dei dottori potrebbero utilmente applicarsi all’organizzazione e programmazione di stagioni concertistiche, teatrali e di festival, nonché alla produzione discografica, sia sul piano della programmazione artistica, sia su quello della presentazione critica dei testi di commento. Anche nell’editoria libraria e nella sfera della programmazione televisivo-radiofonica dedicata agli approfondimenti culturali ci dovrebbero essere chances di assorbimento per studiosi dotati di una formazione professionale nel campo della musicologia. In genere, quello del management musicale è un territorio potenzialmente assai fertile di occasioni d’impiego: esso richiede tuttavia una competenza di tipo organizzativo, gestionale, legislativo che raramente fa parte del bagaglio culturale del dottore di ricerca (8). Chi coniugasse competenze culturali e cognizioni manageriali si troverebbe di certo in una posizione avvantaggiata.

Il mondo della produzione culturale in campo musicale richiede che si ridia forza e credibilità alle competenze professionali, se non si vuole che prevalgano logiche sempre più smaccatamente commerciali. Il miglioramento nella qualità dell’offerta culturale può tradursi in un ritorno dei capitali investiti, purché il prodotto invogli gli utenti al consumo in virtù della sua qualità. Sarebbe importante che si instaurasse, a questo scopo, un dialogo costruttivo tra il mondo della musicologia accademica e le realtà produttive at large. Lo scollamento vigente non giova al progresso di nessuno dei contraenti: al contrario, rischia di ritorcersi in primis contro l’università.

NOTE

(1) Cfr. in particolare l’art. 5, comma 1, lettere b.

(2) La disposizione ha confermato ciò che preannunciava il decreto ministeriale del 1° dicembre 1997.

(3) Legge 210/98, art. 4, comma 4.

(4) Cfr. la legge n. 127 del 15 maggio 1997, art. 3, comma 6.

(5) Cfr. rispettivamente gli articoli 2, comma 4; 3, commi 2 e 3; 3, comma 1; 4, comma 6.

(6) Cfr. l’art. 2, comma 6.

(7) Art. 4, comma 1.

(8) Oggi nell’Università di Trento è previsto un apposito curriculum dottorale.