Il rispetto delle differenze

Il crescente fenomeno dell’immigrazione nei paesi occidentali ha comportato, a partire dagli anni Ottanta, un aumento in Italia dei contributi sulle tematiche della pedagogia musicale interculturale. Si cominciava allora a sottolineare l’importanza di educare gli studenti alla conoscenza e al rispetto delle tradizioni musicali extraeuropee, espressione di culture e di valori significativi, al pari di quelli del mondo occidentale.

Tuttavia, le proposte di alcuni autori, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, riguardo le modalità di avvicinare gli studenti alle culture musicali extraeuropee risultano oggi discutibili. Vi è alla base un’idea confusa e superficiale di interculturalità. Più che come ‘mediazione’, questa viene intesa come ‘mescolanza’ e ‘contaminazione’ di tradizioni musicali differenti, riduttiva dunque dell’apporto specifico e peculiare di ciascuna di esse. Tali autori si sforzano di individuare punti in comune e “di aggancio” fra le culture musicali, e incorrono spesso in paradossi: si dichiara, ad esempio, la superiorità del suonare e improvvisare rispetto all’ascoltare e leggere la musica, in quanto l’atteggiamento “pratico” renderebbe gli studenti europei più vicini al modo di “vivere la musica” degli altri popoli. Tali affermazioni, frequenti, mostrano in controluce una sorta di disprezzo per il pensiero costruttivo-razionale, che è alla base della nostra tradizione. Sembra quasi che l’accettazione delle musiche “altre” debba passare attraverso il massacro della musica d’arte occidentale, e perciò del nostro modo di pensare e comporre.

Si sarebbe dovuto procedere diversamente. In tema di educazione interculturale, sarebbe stato opportuno un raccordo con l’Etnologia e, in particolare, con l’Etnomusicologia, la scienza che studia nello specifico le tradizioni musicali orali. Ciò non è stato. È inevitabile, dunque, porre oggi rimedio, rivolgendosi agli etnomusicologi, che possono suggerire al docente di musica l’importanza di misurare le distanze, di rispettare le differenze, per non correre il rischio di ridurre le alterità ad un guazzabuglio indistinto. Essi possono altresì sottolineare l’importanza di penetrare la propria cultura, per meglio conoscere ed apprezzare le tradizioni altre (vd. N. Staiti, «Tutto è zuppa»? Musica, interculturalità, educazione: una prospettiva etnomusicologica, «Il Saggiatore musicale», X, n. 1, 2003, pp. 135-149).

L’auspicio è dunque che la Pedagogia musicale si raccordi sempre più in futuro con l’Etnomusicologia per impostare una vera educazione musicale interculturale che punti a far acquisire ai nostri studenti un modo di pensare e agire plurale, nel rispetto degli oggetti specifici e dei differenti contesti storici e geografici.

Anna Scalfaro

Assegnista di ricerca

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna


Il rispetto delle differenze

Il rispetto delle differenze

Il crescente fenomeno dell’immigrazione nei paesi occidentali ha comportato, a partire dagli anni Ottanta, un aumento in Italia dei contributi sulle tematiche della pedagogia musicale interculturale. Si cominciava allora a sottolineare l’importanza di educare gli studenti alla conoscenza e al rispetto delle tradizioni musicali extraeuropee, espressione di culture e di valori significativi, al pari di quelli del mondo occidentale.

Tuttavia, le proposte di alcuni autori, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, riguardo le modalità di avvicinare gli studenti alle culture musicali extraeuropee risultano oggi discutibili. Vi è alla base un’idea confusa e superficiale di interculturalità. Più che come ‘mediazione’, questa viene intesa come ‘mescolanza’ e ‘contaminazione’ di tradizioni musicali differenti, riduttiva dunque dell’apporto specifico e peculiare di ciascuna di esse. Tali autori si sforzano di individuare punti in comune e “di aggancio” fra le culture musicali, e incorrono spesso in paradossi: si dichiara, ad esempio, la superiorità del suonare e improvvisare rispetto all’ascoltare e leggere la musica, in quanto l’atteggiamento “pratico” renderebbe gli studenti europei più vicini al modo di “vivere la musica” degli altri popoli. Tali affermazioni, frequenti, mostrano in controluce una sorta di disprezzo per il pensiero costruttivo-razionale, che è alla base della nostra tradizione. Sembra quasi che l’accettazione delle musiche “altre” debba passare attraverso il massacro della musica d’arte occidentale, e perciò del nostro modo di pensare e comporre.

Si sarebbe dovuto procedere diversamente. In tema di educazione interculturale, sarebbe stato opportuno un raccordo con l’Etnologia e, in particolare, con l’Etnomusicologia, la scienza che studia nello specifico le tradizioni musicali orali. Ciò non è stato. È inevitabile, dunque, porre oggi rimedio, rivolgendosi agli etnomusicologi, che possono suggerire al docente di musica l’importanza di misurare le distanze, di rispettare le differenze, per non correre il rischio di ridurre le alterità ad un guazzabuglio indistinto. Essi possono altresì sottolineare l’importanza di penetrare la propria cultura, per meglio conoscere ed apprezzare le tradizioni altre (vd. N. Staiti, «Tutto è zuppa»? Musica, interculturalità, educazione: una prospettiva etnomusicologica, «Il Saggiatore musicale», X, n. 1, 2003, pp. 135-149).

L’auspicio è dunque che la Pedagogia musicale si raccordi sempre più in futuro con l’Etnomusicologia per impostare una vera educazione musicale interculturale che punti a far acquisire ai nostri studenti un modo di pensare e agire plurale, nel rispetto degli oggetti specifici e dei differenti contesti storici e geografici.

Anna Scalfaro

Assegnista di ricerca

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna


Articoli consigliati