Il Laboratorio di architettura musicale del DAMS di Torino: un esperimento didattico

Oggi pochi studenti universitari hanno le competenze necessarie per leggere una partitura. Servono peraltro strategie alternative per visualizzare – e quindi memorizzare – la musica. È questa la principale ragione su cui si fonda il nuovo laboratorio di architettura musicale, avviato nel 2019 presso il DAMS dell’Università degli Studi di Torino. L’ideazione e lo svolgimento sono stati curati da chi scrive e dall’architetto Matteo Pericoli, illustratore del «New York Times» e del «New Yorker». L’obiettivo del progetto didattico non consiste nell’indagine delle analogie stilistiche tra architettura e musica, ma nell’utilizzo di un’arte plastica per stimolare gli studenti a ragionare sulla scrittura musicale e produrre modellini tridimensionali delle composizioni analizzate. Per evitare i possibili rischi legati a un ascolto di tipo proiettivo, il laboratorio è stato introdotto da due lezioni preliminari, esclusivamente focalizzate sulla musica, che avviassero il gruppo a una fruizione competente del repertorio discusso. Sulla base dei criteri di brevità, varietà storico-culturale e scarsità di riferimenti extramusicali, sono stati selezionati i seguenti brani: il Concerto brandeburghese n. 3 di Johann Sebastian Bach, Duett dai Fantasiestücke op. 72 di Robert Schumann, Vorgefühle dall’op. 16 di Arnold Schönberg ed Etude n. 2 di Philip Glass. La guida all’ascolto preliminare è stata seguita da una lezione di storia dell’architettura, nella quale Pericoli ha spinto il gruppo a ragionare su alcune opere esemplari (dal Barocco a Le Corbusier), valutandone le possibili analogie musicali. Alcune domande ricorrenti (ad esempio, «Quale soluzione musicale potrebbe ricordare questo procedimento costruttivo?») hanno consentito di aprire un canale di comunicazione tra le due discipline. Dopodiché è stato avviato un lavoro di gruppo (4-5 studenti per ogni composizione) finalizzato a discutere in maniera collettiva, con la parziale guida dei docenti, sui principi costruttivi delle composizioni ascoltate. Questa fase ha previsto quattro incontri (16 ore in totale), così articolati:
  1. brainstorming dedicato all’individuazione dei principi compositivi su cui lavorare;
  2. ideazione e progettazione di adeguate soluzioni plastiche, con la collaborazione dei docenti;
  3. costruzione dei modellini sulla base delle idee emerse nel corso degli incontri precedenti;
  4. presentazione dei progetti con duplice modalità di verbalizzazione: testo scritto da sottoporre all’approvazione dei docenti e descrizione orale dei risultati raggiunti.
I modellini nati durante l’attività didattica hanno permesso agli studenti di dare una forma plastica a soluzioni e concetti musicali di varia complessità (ad esempio emancipazione della dissonanza, tempo rotatorio, dialogo polifonico, forma palindroma, principio deduttivo), facilitandone la relativa verbalizzazione e visualizzazione. In assenza di un adeguato livello di alfabetizzazione musicale, il progetto ha dimostrato quali vantaggi possano derivare dall’utilizzo di strumenti alternativi alla partitura per fotografare aspetti specifici della scrittura musicale.

Andrea Malvano

Professore associato di Storia della Musica

Università degli Studi di Torino

Dipartimento di Studi Umanistici