Raccontare la propria vita, descrivere fatti che sono successi, persone che si sono conosciute, emozioni provate, esperienze vissute: fatti, episodi, storie. Ma le cose sono proprio andate così? Sì. Certamente. Forse…

La nostra vita è un racconto, narrato a sé stessi e poi narrato agli altri, ma i fatti, gli eventi concreti, quelli ben definiti da un tempo fisico e da uno spazio effettivo, che sono avvenuti nella realtà, corrispondono sempre al nostro racconto? La nostra memoria è un registratore fedele dell’esistenza? La nostra mente, i nostri processi cognitivi hanno capacità straordinarie, la funzione mnestica, in particolare, è potenzialmente infinita. La memoria, intesa come magazzino, deposito dei ricordi, non ha limiti, potrebbe contenere una quantità innumerevole di informazioni, se non intervenissero altri ostacoli come il tempo che passa, che affievolisce la traccia come il sole affievolisce i caratteri stampati su di un foglio, l’oblio di esperienze di dolore, l’interferenza di altre informazioni, di altri ricordi, il decadimento cognitivo, la malattia… Ma questo congegno così perfetto e così potente ha sue regole di funzionamento di cui non ci rendiamo nemmeno conto, che da un lato gli permettono di funzionare in modo così unico ed efficiente, dall’altro consentono a noi di adattarci al mondo e di costruire, della nostra vita, il migliore dei racconti possibili.

E così la nostra memoria perde la fisionomia di magazzino digitale di dati, dove una informazione recuperata è sempre uguale a sé stessa, e diventa umana, un ideale narratore di storie che modella eventi, relazioni, tempi e rapporti causali. Ogni volta che viene estratto un ricordo lo si narra ancora una volta, lo si integra nel tempo presente, e così facendo la memoria non può essere considerata come un dispositivo che riproduce passivamente e letteralmente la realtà, ma si trasforma piuttosto in un ideale narratore di storie alle quali siamo istintivamente e naturalmente fedeli, perché spesso agiamo coerentemente con ciò che narriamo a noi stessi della nostra vita.

La ricostruzione narrativa della storia della nostra esistenza, sia essa costituita da eventi di rilievo che da dettagli, opera secondo regole che ne determinano la funzione, irrinunciabile, di adattamento al mondo. È la conservazione della propria identità che induce a mantenere un racconto stabile dei ricordi: una sorta di protezione dai pericoli dell’imprevedibile e dell’ignoto. Il romanzo si organizza in sequenze di circostanze e vicende che proteggono dalla casualità e dalla profonda inquietudine che causa la consapevolezza dell’esistenza di eventi che non hanno nessuna motivazione, nessuna causa, che succedono e basta.

Ma le storie hanno altre virtù, perché semplificano la naturale e necessaria complessità delle avventure umane, fatte di sfumature, di contraddizioni e di incompatibilità: la loro capacità ricostruttiva del mondo non solo crea significati, ma ne facilita l’esposizione e il ricordo, con una dimensione cronologica che simula lo scorrere del tempo e il fluire degli eventi, permettendo una sintonia rassicurante fra narrazione e vita vissuta. La rievocazione del passato non può avere pretese di verità, ma ciò che è ‘realmente’ accaduto è davvero più importante della infinità di trame che la memoria conserva e protegge?

Fiorella Giusberti

Professoressa ordinaria di Psicologia

Università di Bologna –  Dipartimento di Psicologia

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