INTERVENTO · Gli stereotipi di genere nell’accesso agli studi STEM

Gli stereotipi di genere sulle professioni – secondo i quali alcune rispecchierebbero le presunte predisposizioni “naturali” delle bambine e altre quelle dei bambini – contribuiscono a disincentivare le ragazze dall’intraprendere e/o continuare i cosiddetti studi STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics). Si veda, in proposito, il Quaderno della ricerca n. 32 della Loescher, uscito nel 2016 (https://laricerca.loescher.it/i-quaderni-della-ricerca-32/).

La parola stereotipo indica una rappresentazione semplificata di un oggetto, uno stato di cose, un evento, un gruppo sociale, basata su una generalizzazione che prescinde dall’osservazione diretta dei singoli casi. Il termine è usato spesso in senso negativo, per marcare la scarsa corrispondenza alla realtà degli stereotipi che portano a una visione deformata e spesso peggiorativa della realtà. Tuttavia, da sempre la linguistica, la filosofia del linguaggio e la semiotica riconoscono la presenza inevitabile di stereotipi nel senso comune e nel linguaggio ordinario. Il problema, infatti, non sta tanto negli stereotipi, ma nei giudizi di valore che vi sono connessi, specie se questi sono negativi e rivolti a interi gruppi sociali: è da questi infatti, e non dagli stereotipi in sé, che nascono le discriminazioni ai danni del gruppo sociale cui sono rivolte.

Si veda ad esempio come funzionano gli stereotipi di genere su donne e uomini, per cui le donne sarebbero “materne”, “più emotive degli uomini”, “meno inclini agli studi scientifici”, mentre gli uomini sarebbero “più razionali”, “poco inclini all’accudimento”, “più orientati all’uso delle tecnologie”. In questi casi si attribuiscono alcune caratteristiche generali a due gruppi sociali enormi: tutte le donne e tutti gli uomini di un ambito spesso lasciato indefinito (un Paese? una regione? il mondo intero?). Questi stereotipi trattano i due insiemi grossolanamente come fossero entità uniche, senza preoccuparsi dell’assenza di basi scientifiche né verificare la possibilità che vi siano differenze, sfumature o eccezioni al loro interno.

Se penso che le donne siano più inclini degli uomini all’accudimento, esprimo uno stereotipo tutto sommato neutro, cioè indipendente da qualunque giudizio di valore, anche se, a seconda dei casi, ci sarà chi valuta positivamente e chi negativamente l’essere o meno inclini alla cura. Ma da questo stereotipo deriva poi la credenza che le donne siano più adatte a professioni di cura, come la maestra di scuola d’infanzia e primaria, l’assistente sociale, l’operatrice sanitaria e così via, e questo finisce per incanalare interi percorsi di vita e di lavoro. Il che è discriminatorio tanto per le donne quanto per gli uomini; una distribuzione di ruoli più paritaria in questi mestieri avvantaggerebbe tutti, sia i/le professionisti/e sia chi beneficia del loro lavoro: allievi/e, assistiti/e, pazienti. Non si può non vedere il nesso con alcuni dati di realtà: secondo l’ultima indagine Eurostat (2016), in Europa sono donne l’85% di insegnanti nelle scuole primarie, il 68% nelle secondarie di primo grado, il 60% in quelle di secondo grado (https://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/7672738/3-04102016-BP-EN.pdf).

In modo analogo funziona lo stereotipo per cui le donne sarebbero meno inclini agli studi tecnico-scientifici degli uomini, che produce, fin dalle scuole primarie, pregiudizi tendenzialmente negativi – da parte di genitori, parenti, insegnanti – sulle capacità delle bambine in matematica, geometria, fisica, scienze e affini. I pregiudizi negativi sono interiorizzati dalle stesse bambine che, fin dalla più tenera età, si convincono di avere poca attitudine per le materie tecnico-scientifiche: è la cosiddetta profezia che si autorealizza (o effetto Pigmalione), ben nota agli psicologi fin dagli anni Sessanta. Non c’è dunque da stupirsi se, in moltissimi Paesi fra cui l’Italia, si registra una scarsa presenza femminile negli studi universitari STEM e nelle professioni tecnico-scientifiche. Secondo una ricerca Eurostat del 2021, in Italia le donne che lavorano in ambito scientifico e ingegneristico sono fra il 30 e il 40% (https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/-/edn-20210210-1).

Per cambiare questa situazione, è dunque imprescindibile e urgente introdurre, a scuola e in università, iniziative per aumentare e diffondere la consapevolezza critica sugli stereotipi di genere in docenti, dirigenti, presidi, personale tecnico-amministrativo, responsabili a vari livelli nelle strutture scolastiche e accademiche. Segnalo, come ispirazione, le buone pratiche della Città Metropolitana di Bologna (https://www.cittametropolitana.bo.it/pariopportunita/Home/Ecco_home).

Giovanna Cosenza
Professoressa ordinaria
Dipartimento delle Arti, Università di Bologna

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