La scrittura musicale: un grafico della mente

Nel 1974, Thomas Bever e Robert Chiarello fecero un’importante scoperta, suffragata da prove sperimentali lungo l’arco di oltre un trentennio (Cerebral Dominance in Musicians and Nonmusicians, «The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences» 21, 2009, 94-97): nel riconoscimento di una melodia, i musicisti presentano un’intensa attività dell’emisfero cerebrale sinistro, mentre i non musicisti ricorrono prevalentemente all’emisfero destro. I non musicisti, infatti, colgono una melodia in modo olistico, mentre i musicisti, grazie all’esercizio di anni, sono in grado di analizzarne la successione degli intervalli. Ciò non significa che esista una rigida specializzazione tra le aree cerebrali: senza l’emisfero sinistro, i non musicisti non sarebbero in grado di cogliere gli eventi ritmici; e senza l’attività olistica dell’emisfero destro, la capacità analitica dei musicisti sarebbe inutilizzabile.

Chi conosca la storia della notazione musicale non può che rimanere affascinato dalla scoperta di Bever e Chiarello, che i progressi scientifici, con l’impiego delle tecniche di neuroimmagine, non hanno scardinato (per una visione d’assieme si veda D. Schön et al., Psicologia della musica, Carocci 2018, in part. il cap. 4): essa conferma infatti la genialità di quel sistema di scrittura.

La notazione alfabetica in uso nell’antica Grecia si basò esclusivamente sul principio del codice, ossia della relazione convenzionale tra segno e significato. Possiamo decifrare con precisione le altezze e le durate dell’Epitaffio di Sicilo, ma la sua notazione non ci restituisce alcuna immagine del profilo della melodia. Quella notazione funzionava perfettamente per i propri scopi, ma resta il fatto che solo la notazione sviluppatasi in Europa tra il X e l’XI secolo ha dato luogo a una persistente tradizione di musica scritta; e non è difficile capire perché.

Una notazione alfabetica parla al solo emisfero sinistro, poiché in essa manca del tutto l’elemento iconico; mentre la notazione neumatica dei codici sangallesi presenta la situazione opposta: essa restituisce efficacemente il profilo della melodia, ma non ne ‘calcola’ le distanze intervallari. In altre parole, le prime notazioni neumatiche parlano esclusivamente all’emisfero destro, mentre affidano alla memoria il processo analitico dell’emisfero sinistro. Non si tratta di giudicare quelle notazioni col senno di poi, ma di constatare che coloro i quali, nel corso dell’XI secolo, ebbero l’idea di utilizzare la rigatura della pergamena per indicare con precisione gli intervalli, intuirono una realtà che la scienza ha evidenziato solo di recente: inventarono un sistema di segni che univa la precisione del codice all’immediatezza dell’icona; un sistema parimenti eloquente per entrambi gli emisferi del nostro cervello.

A parte l’ovvia considerazione sulla funzione formativa dell’educazione musicale (ormai ci si è perfino stancati di ripeterla), quanto sopra mi ha aiutato a sviluppare una riflessione sia nel mio lavoro con le scuole secondarie fiorentine per conto dell’Orchestra della Toscana, sia nell’ambito del corso di laurea triennale Pro.Ge.AS dell’Università di Firenze, che si rivolge a studenti molto motivati, ma spesso digiuni delle più elementari nozioni musicali. Mettere una pagina con notazione musicale di fronte a una platea di discenti avvezzi ad ascoltare ‘con l’emisfero destro’, lungi dal complicare le cose, favorisce in maniera straordinaria l’educazione all’ascolto, proprio in quanto è possibile partire dalla sua componente iconica, che ben corrisponde alla percezione dei profili da parte dei non musicisti, conquistando gradualmente la componente del codice.

Decifrare la notazione musicale, sfruttandone la natura di ‘grafico della mente’, è dunque un complemento indispensabile del percorso educativo dei futuri cittadini. E un antidoto a quella distorta percezione della tradizione scritta occidentale, dilagante anche in certi ambienti musicologici, che vede in essa un’anomalia della quale scusarsi di fronte al mondo.

Marco Mangani
Professore associato
Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS)
Università degli Studi di Firenze

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